Il mondo discute sulle rivelazioni e le analisi dei servizi segreti americani, secondo le quali l'Iran avrebbe sospeso dal 2003 le sue ricerche sul nucleare militare. L'ampio versante anti-americano festeggia come se il regime di Ahmadinejad si fosse improvvisamente trasformato in un paese pacifico e inoffensivo a cui magari offrire le proprie scuse.
C'è chi si rallegra vedendo in questo un effetto della politica dura e di sanzioni dell'amministrazione Bush e magari chiede di aprire una fase di dialogo; chi invece considera questa novità come un indebolimento della posizione americana nei confronti del regime degli ayatollah e chi ancora nutre seri dubbi sul lavoro dei servizi segreti e preferisce sospendere il giudizio.
A tutti i partecipanti a questo serrato dibattito geopolitico è forse sfuggita la connessione con una notizia che viene dall'Iran negli stessi giorni.
Si tratta dell'impiccagione del giovane Makwan Muluzdzadeh, di appena vent'anni, accusato di aver avuto rapporti omosessuali sei anni prima con ragazzini della sua stessa età. Dopo un anno di prigione Makwan è stato frettolosamente impiccato in nome di una confessione estorta sotto tortura. Già al momento dell'arresto la polizia lo aveva ammanettato e portato a dorso d'asino, esposto al dileggio di tutto il paese, fino al commissariato.
A nulla sono valsi gli sforzi degli avvocati e le pressioni della comunità internazionale: in un paese dove - come dice Ahmadinejad - gli omosessuali non esistono, Makwan doveva scomparire. Come lui, dall'estate scorsa, sono morti altri 23 ragazzi. Altri vengono impiccati per traffico di droga
La presidenza portoghese dell’Unione Europea nel settembre 2007 ha espresso “grande preoccupazione per la notizia dell’imminente esecuzione in Iran di Behnam Zare, condannato a morte dal tribunale di Shiraz per un crimine commesso quando era ancora minorenne”. La Ue ha richiamato la Repubblica Islamica dell’Iran al rispetto dei propri impegni internazionali, in particolare del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, che proibiscono l’esecuzione di minorenni o di persone condannate per crimini commessi da minorenni.
La Ue chiese alla Repubblica Islamica dell’Iran il rispetto del Diritto Internazionale e di fermare l’esecuzione di Zare e di tutti gli altri minori, prendendo in considerazione per loro condanne alternative.
La Ue chiese inoltre alla Repubblica Islamica dell’Iran, alla vigilia del mese di Ramadan, di annunciare una sospensione temporanea di tutte le esecuzioni per avviare una revisione urgente della posizione internazionale della Repubblica Islamica dell’Iran e per ribadire gli obblighi internazionali della Magistratura iraniana”.
L'Ue, per un'altra volta, si ostina a fare dichiarazioni morali per dimostrare che si impegna nella conservazione dei diritti fondamentali ma nel concreto non fa niente di risolutivo.
Forse l'Iran non ha ancora l'atomica pronta all'uso, ma un paese che uccide con simile furia e determinazione i suoi cittadini in nome di un ambiguo concetto di purezza e di morale, è un pericolo evidente.
Come nel caso di Saddam Hussein in Iraq, l'arma di distruzione di massa iraniana è da tempo già all'opera contro il suo stesso popolo, e il suo alone di odio e violenza si proietta ogni giorno più lontano.
Il problema allora non è tanto se la bomba atomica iraniana sia ferma o in produzione, il problema è l'Iran e la natura di un regime con il gusto di uccidere.
"Organizza la tua mente in nuove dimensioni, libera il tuo corpo da ataviche oppressioni."
venerdì 7 dicembre 2007
giovedì 8 novembre 2007
Sicurezza, le bugie della sinistra sulla Bossi-Fini
di Alfredo Mantovano
Di fronte al tragico fallimento della politica per la sicurezza del Governo Prodi da Sinistra c’è perfino chi ha la sfrontatezza di dire che è “colpa” della legge Fini-Bossi e che è “colpa” del Governo Berlusconi, che non ha provveduto alla moratoria sulla libera circolazione delle persone provenienti dalla Romania.
Inferior stabat agnus… verrebbe da dire. Forse è il caso di ricordare che la legge migliore dà i risultati peggiori se la sua applicazione viene sabotata da chi ha il dovere di rispettarla e se l’azione di Governo si muove nella direzione opposta a quanto è previsto dalla legge.
Da quando Prodi governa e Amato è ministro dell’Interno, costoro:
1. Hanno chiuso tre Cpt per l’identificazione dei clandestini (a Ragusa, a Brindisi e a Crotone). Questo vuol dire che sono state ristrette drasticamente le espulsioni effettive: se si riducono i luoghi nei quali è possibile l’individuazione al fine della restituzione nel paese di origine, i clandestini restano in Italia e si consolida la convinzione che non è possibile procedere alle espulsioni (quindi, ne arrivano altri);
2. Hanno ampliato i ricongiungimenti, andando molto oltre il nucleo familiare e precludendosi la certezza dell’identità; a parte coniuge e figli, come si fa a stabilire che vi è un rapporto di parentela quando si ha a che fare con Stati nei quali non esiste neanche l’anagrafe?
3. Hanno eliminato il visto d’ingresso per i soggiorni brevi, sostituendolo con una semplice autocertificazione. Dunque, non si sa con sicurezza chi è colui che viene per il periodo di tre mesi, ma si sa con certezza che resterà in Italia dopo i 90 giorni senza alcuna conseguenza;
4. Hanno usato il decreto flussi 2006 come sanatoria fittizia per i clandestini che già c’erano, piuttosto che come strumento per far arrivare i regolari dai Paesi di origine;
5. Hanno adottato norme per l’asilo che sono lo strumento per far entrare chiunque;
6. Non hanno varato la moratoria sulla libera circolazione di persone dalla Romania;
7. Non applicano la direttiva UE n. 38/2004 sulla espulsione dei comunitari che non hanno un reddito lecito.
E’ disonesto dire che tutto questo deriva dalla Fini-Bossi. E’ altrettanto disonesto dire che molto sarà risolto dal decreto legge varato dal Consiglio dei ministri due giorni fa. In realtà, quel decreto è poco più che nulla: si limita a spostare i fascicoli delle espulsioni dal tavolo del ministro dell’Interno al tavolo dei prefetti.
In Parlamento sarà necessario presentare emendamenti al decreto medesimo, tesi a eliminare le disposizioni lassiste appena elencate, introdotte arbitrariamente in contrasto con le direttive UE (pur col pretesto di darne attuazione). In quel momento si vedrà chi fa lo sciacallo!
Di fronte al tragico fallimento della politica per la sicurezza del Governo Prodi da Sinistra c’è perfino chi ha la sfrontatezza di dire che è “colpa” della legge Fini-Bossi e che è “colpa” del Governo Berlusconi, che non ha provveduto alla moratoria sulla libera circolazione delle persone provenienti dalla Romania.
Inferior stabat agnus… verrebbe da dire. Forse è il caso di ricordare che la legge migliore dà i risultati peggiori se la sua applicazione viene sabotata da chi ha il dovere di rispettarla e se l’azione di Governo si muove nella direzione opposta a quanto è previsto dalla legge.
Da quando Prodi governa e Amato è ministro dell’Interno, costoro:
1. Hanno chiuso tre Cpt per l’identificazione dei clandestini (a Ragusa, a Brindisi e a Crotone). Questo vuol dire che sono state ristrette drasticamente le espulsioni effettive: se si riducono i luoghi nei quali è possibile l’individuazione al fine della restituzione nel paese di origine, i clandestini restano in Italia e si consolida la convinzione che non è possibile procedere alle espulsioni (quindi, ne arrivano altri);
2. Hanno ampliato i ricongiungimenti, andando molto oltre il nucleo familiare e precludendosi la certezza dell’identità; a parte coniuge e figli, come si fa a stabilire che vi è un rapporto di parentela quando si ha a che fare con Stati nei quali non esiste neanche l’anagrafe?
3. Hanno eliminato il visto d’ingresso per i soggiorni brevi, sostituendolo con una semplice autocertificazione. Dunque, non si sa con sicurezza chi è colui che viene per il periodo di tre mesi, ma si sa con certezza che resterà in Italia dopo i 90 giorni senza alcuna conseguenza;
4. Hanno usato il decreto flussi 2006 come sanatoria fittizia per i clandestini che già c’erano, piuttosto che come strumento per far arrivare i regolari dai Paesi di origine;
5. Hanno adottato norme per l’asilo che sono lo strumento per far entrare chiunque;
6. Non hanno varato la moratoria sulla libera circolazione di persone dalla Romania;
7. Non applicano la direttiva UE n. 38/2004 sulla espulsione dei comunitari che non hanno un reddito lecito.
E’ disonesto dire che tutto questo deriva dalla Fini-Bossi. E’ altrettanto disonesto dire che molto sarà risolto dal decreto legge varato dal Consiglio dei ministri due giorni fa. In realtà, quel decreto è poco più che nulla: si limita a spostare i fascicoli delle espulsioni dal tavolo del ministro dell’Interno al tavolo dei prefetti.
In Parlamento sarà necessario presentare emendamenti al decreto medesimo, tesi a eliminare le disposizioni lassiste appena elencate, introdotte arbitrariamente in contrasto con le direttive UE (pur col pretesto di darne attuazione). In quel momento si vedrà chi fa lo sciacallo!
giovedì 1 novembre 2007
Salviamo Internet e i blog: firmiamo la petizione contro la legge Levi-Prodi e Obbligo Iscrizione Al ROC
La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.
la petizione ( http://firmiamo.it/salviamointernet#sign ) vuole fermare questo controllo di internet da parte del governo italiano! Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo.
Ecco gli interventi più importanti a difesa di Internet:
Valentino Spataro di Civile.it che per primo ha scoperto il disegno di legge di Agosto:
http://www.civile.it/news/visual.php?num=45712
L'intervento di Beppe Grillo:
http://www.beppegrillo.it/2007/10/la_legge_levipr.html
Punto Informatico:
http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2092327
Master New Media:
http://www.masternewmedia.org/it/2007/10/19/editoria_online_ddl_leviprodi_introduce.htm
Repubblica
http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/scienza_e_tecnologia/testo-editoria/testo-editoria/testo-editoria.html
Il Disegno Di Legge
http://www.governo.it/Presidenza/DIE/doc/DDL_editoria_030807.pdf
Il Disegno di Legge Ferragostano
Il disegno di legge sull'editoria presentato il 3 agosto 2007 dal Governo, bravi, propone di qualificare ogni sito o blog come prodotto editoriale.
Capo I Il prodotto e l’attività editoriale
Art. 2 (Definizione del prodotto editoriale)
1. Per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso.
2. Non costituiscono prodotti editoriali quelli destinati alla sola informazione aziendale, sia ad uso interno sia presso il pubblico.
3. La disciplina della presente legge non si applica ai prodotti discografici e audiovisivi.
Praticamente ne restano fuori dischi, film, youtube e i cataloghi per le vendite.
Vediamo come viene qualificato chi realizza prodotti editoriali:
Art. 5 (Esercizio dell’attività editoriale)
1. Per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative
Anche senza scopo di lucro.
Bloggers, ci siete? Grillo, ci sei? Tutti.
Vorrei dire: basterebbe andare anche ogni giorno in piazza Duomo a parlare al pubblico e si diventa prodotto editoriale.
Prima prodotti editoriali erano "cose" destinate al lucro, realizzate da editori, da imprenditori (anche persone fisiche) che andando in Prefettura chiedevano l'iscrizione nel registro degli editori, conformemente al codice attività che risulta alla Camera di Commercio e legato alla partita iva.
Insomma: oggi si deve volere essere editori, non lo si e' per il semplice fatto che si scrive un ebook.
Ora che tutti diventiamo editori ... mi scappa da ridere ... si applicano tutti gli adempimenti dei quotidiani cartacei ...
Art. 7 (Attività editoriale su internet)
1. L’iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione dei soggetti che svolgono attività editoriale su internet rileva anche ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa.
2. Per le attività editoriali svolte su internet dai soggetti pubblici si considera responsabile colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle informazioni.
Non si poteva trovare un termine piu' generico e impreciso per applicare una intera normativa, quella della stampa, a chi scrive sul web, a qualsiasi titolo.
In effetti si applica il Roc, non la normativa sulla stampa. Il Roc, registro operatori della comunicazione, sostituisce i vecchi registri dei periodici presso i Tribunali.
la petizione ( http://firmiamo.it/salviamointernet#sign ) vuole fermare questo controllo di internet da parte del governo italiano! Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo.
Ecco gli interventi più importanti a difesa di Internet:
Valentino Spataro di Civile.it che per primo ha scoperto il disegno di legge di Agosto:
http://www.civile.it/news/visual.php?num=45712
L'intervento di Beppe Grillo:
http://www.beppegrillo.it/2007/10/la_legge_levipr.html
Punto Informatico:
http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2092327
Master New Media:
http://www.masternewmedia.org/it/2007/10/19/editoria_online_ddl_leviprodi_introduce.htm
Repubblica
http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/scienza_e_tecnologia/testo-editoria/testo-editoria/testo-editoria.html
Il Disegno Di Legge
http://www.governo.it/Presidenza/DIE/doc/DDL_editoria_030807.pdf
Il Disegno di Legge Ferragostano
Il disegno di legge sull'editoria presentato il 3 agosto 2007 dal Governo, bravi, propone di qualificare ogni sito o blog come prodotto editoriale.
Capo I Il prodotto e l’attività editoriale
Art. 2 (Definizione del prodotto editoriale)
1. Per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso.
2. Non costituiscono prodotti editoriali quelli destinati alla sola informazione aziendale, sia ad uso interno sia presso il pubblico.
3. La disciplina della presente legge non si applica ai prodotti discografici e audiovisivi.
Praticamente ne restano fuori dischi, film, youtube e i cataloghi per le vendite.
Vediamo come viene qualificato chi realizza prodotti editoriali:
Art. 5 (Esercizio dell’attività editoriale)
1. Per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative
Anche senza scopo di lucro.
Bloggers, ci siete? Grillo, ci sei? Tutti.
Vorrei dire: basterebbe andare anche ogni giorno in piazza Duomo a parlare al pubblico e si diventa prodotto editoriale.
Prima prodotti editoriali erano "cose" destinate al lucro, realizzate da editori, da imprenditori (anche persone fisiche) che andando in Prefettura chiedevano l'iscrizione nel registro degli editori, conformemente al codice attività che risulta alla Camera di Commercio e legato alla partita iva.
Insomma: oggi si deve volere essere editori, non lo si e' per il semplice fatto che si scrive un ebook.
Ora che tutti diventiamo editori ... mi scappa da ridere ... si applicano tutti gli adempimenti dei quotidiani cartacei ...
Art. 7 (Attività editoriale su internet)
1. L’iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione dei soggetti che svolgono attività editoriale su internet rileva anche ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa.
2. Per le attività editoriali svolte su internet dai soggetti pubblici si considera responsabile colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle informazioni.
Non si poteva trovare un termine piu' generico e impreciso per applicare una intera normativa, quella della stampa, a chi scrive sul web, a qualsiasi titolo.
In effetti si applica il Roc, non la normativa sulla stampa. Il Roc, registro operatori della comunicazione, sostituisce i vecchi registri dei periodici presso i Tribunali.
Cresce l'aborto "fai da te" e il Papa replica
Mentre Benedetto XVI lancia il suo affondo sui temi etici e invita i farmacisti cattolici a fare appello all'obiezione di coscienza laddove si va contro la vita in modo diretto, come nel prescrivere farmaci abortivi, l'interruzione di gravidenza torna a fare notizia e a far parlare di sé. E anche gli stessi che lo considerano un diritto consolidato iniziano a preoccuparsi dell’aumento del numero delle interruzioni di gravidanza.
Qualche giorno fa in Gran Bretagna Lord Steel, il padre della legge introdotta quarant’anni fa per legalizzare le interruzioni di gravidanza, ha dichiarato che gli aborti nel suo paese sono diventati troppi: più di duecentomila - considerando anche le donne irlandesi che vanno ad abortire in Inghilterra - rispetto ai 55.000 del 1967, quando la legge entrò in vigore.
In Gran Bretagna si vorrebbe renderlo ancora più accessibile nei primi tre mesi di gravidanza, eliminando il certificato congiunto di due medici, e consentendo di effettuarlo anche alle infermiere. Un ruolo importante nella liberalizzazione lo avrebbe la pillola abortiva, la Ru486, che dovrebbe diventare la forma più semplice di aborto fai-da-te (DIY, Do It Yourself).
Con la “horror pill” – come l’ha definita India Knight su The Sunday Times il 17 ottobre scorso - si vorrebbe infatti permettere in Gran Bretagna, come accade già in Francia, l’aborto a domicilio: la brutale verità dell’aborto fai da te, l’eloquente titolo del pezzo della Knight, nel quale l’editorialista - non certo di area pro-life - descrive la brutalità dell’aborto chimico casalingo. La donna, dopo aver preso dal medico la prima delle due pillole abortive, la Ru486, che fa morire l’embrione in pancia, se ne torna a casa e ingoia la seconda: si chiude in bagno e fra i crampi e perdite di sangue espelle l’embrione morto e tira lo sciacquone. La Knight lo definisce un “atto di estrema brutalità verso le donne. […] E la mattina ci si aspetta che lei si alzi come se niente fosse successo, e continui la sua vita, senza dare neanche un’occhiata alla tazza del bagno”.
“Vai a bere con un gruppo di amiche e parla di bambini, ce n’è sempre una o due che farfuglia qualcosa tipo: “Ne avrei uno di venti anni, adesso”, oppure “Non significava assolutamente niente per me allora, ma adesso…."
Dall’altra parte del mondo, allarme nazionale: sul China Daily, quotidiano governativo cinese, viene espressa preoccupazione per i dieci milioni di aborti registrati nell’ultimo anno. Molte le donne che abortiscono ripetutamente, specie fra le più giovani “che affrontano la tematica dell’aborto come se dovessero trattare un raffreddore”.
In entrambi i casi si imputa l’eccessivo ricorso all’aborto alla mancanza di informazione e di contraccezione.
Effettivamente in Cina l’aborto è considerato un metodo contraccettivo, come è sempre successo, d’altra parte, in tutte le dittature comuniste: è bene ricordare che fu Lenin nel 1920 a legalizzare per primo l’aborto, nel mondo, e che le statistiche delle organizzazioni internazionali hanno sempre registrato la ex- Unione Sovietica e i paesi satelliti come quelli a maggiore abortività.
Nel rapporto ONU “Monitoraggio della popolazione mondiale 2002 – diritti riproduttivi e salute riproduttiva”, i primi 18 posti nella classifica mondiale della percentuale di aborti spettano a regimi ex- o ancora comunisti: dal 65% della federazione russa, al 53% della Romania, al 41% dell’Ungheria fino al 27% della Slovacchia.
Il rapporto sottolinea la presenza di una “cultura abortiva” in questi paesi, in cui l’aborto è tuttora ritenuto più sicuro di tanti altri metodi contraccettivi. Le percentuali riportate sono inferiori a quelle registrate precedentemente alla caduta dell’impero sovietico, ma restano pur sempre fra le più elevate al mondo, nonostante la contraccezione moderna sia sempre più utilizzata.
In Gran Bretagna, invece, la diffusione della contraccezione è da sempre elevata, e dal 1990 è disponibile la pillola del giorno dopo, che aveva raggiunto 800.000 prescrizioni l’anno fino a che, dal 2001, si può acquistare senza ricetta medica. Dal 2002 il Ministero della Sanità ha deciso di distribuire pillole e contraccettivi nelle scuole: riesce difficile pensare che manchi un’adeguata informazione, soprattutto fra i giovani.
D’altra parte Cina e Gran Bretagna, pur con storie e culture diversissime e con una condizione femminile agli antipodi, non possono certo dirsi subire l’influenza della morale cattolica, da sempre contraria alle pratiche contraccettive: per entrambe i paesi non si possono invocare le solite ingerenze vaticane che limiterebbero l’uso di mezzi di controllo delle nascite.
L’uso della contraccezione non sembra far diminuire drasticamente, sempre e comunque il numero degli aborti, o quantomeno non argina il fenomeno. E laddove è stato usato l’aborto come metodo di pianificazione familiare, il successivo diffondersi della contraccezione ne diminuisce il numero, ma non di molto.
Nei paesi occidentali una volta vinta la battaglia per l’approvazione delle leggi di regolamentazione dell’aborto, i vari gruppi di pressione, il dibattito pubblico e la politica non si sono più occupati della questione, lasciando che, col tempo, l’aborto si trasformasse da “extrema ratio” nella vita di una donna, a un evento tutto sommato possibile, che si continua a definire drammatico ma che sempre meno viene preso in carico dalla collettività. Abortire viene considerata la soluzione di un problema personale di una donna, che spesso in nome della libera scelta viene lasciata sola davanti ad un’unica possibilità – quella di interrompere la gravidanza, appunto.
Negli ambienti pro-life da sempre si è sostenuto che l’introduzione delle leggi di regolamentazione dell’aborto, se non molto restrittive, avrebbero contribuito a creare una cultura favorevole alle interruzioni di gravidanza. Si è dimostrata falsa l’idea secondo la quale facendo venire alla luce un fenomeno tenuto in clandestinità, gli aborti sarebbero diminuiti perché controllati e regolamentati.
La questione non è meramente medica, non riguarda la quantità di mezzi contraccettivi a disposizione e la loro diffusione: è evidente che il problema è più profondo, e coinvolge un atteggiamento di fronte alle relazioni affettive, una consapevolezza delle proprie azioni, un’educazione alla responsabilità personale, la comprensione del valore e del significato della maternità. Argomenti che attraversano gli schieramenti pro-choice e pro-life, e che meriterebbero di essere affrontati al di là di quei pregiudizi ideologici che per decenni hanno bloccato qualsiasi riflessione pubblica comune sul tema.
di Assuntina Morresi
Qualche giorno fa in Gran Bretagna Lord Steel, il padre della legge introdotta quarant’anni fa per legalizzare le interruzioni di gravidanza, ha dichiarato che gli aborti nel suo paese sono diventati troppi: più di duecentomila - considerando anche le donne irlandesi che vanno ad abortire in Inghilterra - rispetto ai 55.000 del 1967, quando la legge entrò in vigore.
In Gran Bretagna si vorrebbe renderlo ancora più accessibile nei primi tre mesi di gravidanza, eliminando il certificato congiunto di due medici, e consentendo di effettuarlo anche alle infermiere. Un ruolo importante nella liberalizzazione lo avrebbe la pillola abortiva, la Ru486, che dovrebbe diventare la forma più semplice di aborto fai-da-te (DIY, Do It Yourself).
Con la “horror pill” – come l’ha definita India Knight su The Sunday Times il 17 ottobre scorso - si vorrebbe infatti permettere in Gran Bretagna, come accade già in Francia, l’aborto a domicilio: la brutale verità dell’aborto fai da te, l’eloquente titolo del pezzo della Knight, nel quale l’editorialista - non certo di area pro-life - descrive la brutalità dell’aborto chimico casalingo. La donna, dopo aver preso dal medico la prima delle due pillole abortive, la Ru486, che fa morire l’embrione in pancia, se ne torna a casa e ingoia la seconda: si chiude in bagno e fra i crampi e perdite di sangue espelle l’embrione morto e tira lo sciacquone. La Knight lo definisce un “atto di estrema brutalità verso le donne. […] E la mattina ci si aspetta che lei si alzi come se niente fosse successo, e continui la sua vita, senza dare neanche un’occhiata alla tazza del bagno”.
“Vai a bere con un gruppo di amiche e parla di bambini, ce n’è sempre una o due che farfuglia qualcosa tipo: “Ne avrei uno di venti anni, adesso”, oppure “Non significava assolutamente niente per me allora, ma adesso…."
Dall’altra parte del mondo, allarme nazionale: sul China Daily, quotidiano governativo cinese, viene espressa preoccupazione per i dieci milioni di aborti registrati nell’ultimo anno. Molte le donne che abortiscono ripetutamente, specie fra le più giovani “che affrontano la tematica dell’aborto come se dovessero trattare un raffreddore”.
In entrambi i casi si imputa l’eccessivo ricorso all’aborto alla mancanza di informazione e di contraccezione.
Effettivamente in Cina l’aborto è considerato un metodo contraccettivo, come è sempre successo, d’altra parte, in tutte le dittature comuniste: è bene ricordare che fu Lenin nel 1920 a legalizzare per primo l’aborto, nel mondo, e che le statistiche delle organizzazioni internazionali hanno sempre registrato la ex- Unione Sovietica e i paesi satelliti come quelli a maggiore abortività.
Nel rapporto ONU “Monitoraggio della popolazione mondiale 2002 – diritti riproduttivi e salute riproduttiva”, i primi 18 posti nella classifica mondiale della percentuale di aborti spettano a regimi ex- o ancora comunisti: dal 65% della federazione russa, al 53% della Romania, al 41% dell’Ungheria fino al 27% della Slovacchia.
Il rapporto sottolinea la presenza di una “cultura abortiva” in questi paesi, in cui l’aborto è tuttora ritenuto più sicuro di tanti altri metodi contraccettivi. Le percentuali riportate sono inferiori a quelle registrate precedentemente alla caduta dell’impero sovietico, ma restano pur sempre fra le più elevate al mondo, nonostante la contraccezione moderna sia sempre più utilizzata.
In Gran Bretagna, invece, la diffusione della contraccezione è da sempre elevata, e dal 1990 è disponibile la pillola del giorno dopo, che aveva raggiunto 800.000 prescrizioni l’anno fino a che, dal 2001, si può acquistare senza ricetta medica. Dal 2002 il Ministero della Sanità ha deciso di distribuire pillole e contraccettivi nelle scuole: riesce difficile pensare che manchi un’adeguata informazione, soprattutto fra i giovani.
D’altra parte Cina e Gran Bretagna, pur con storie e culture diversissime e con una condizione femminile agli antipodi, non possono certo dirsi subire l’influenza della morale cattolica, da sempre contraria alle pratiche contraccettive: per entrambe i paesi non si possono invocare le solite ingerenze vaticane che limiterebbero l’uso di mezzi di controllo delle nascite.
L’uso della contraccezione non sembra far diminuire drasticamente, sempre e comunque il numero degli aborti, o quantomeno non argina il fenomeno. E laddove è stato usato l’aborto come metodo di pianificazione familiare, il successivo diffondersi della contraccezione ne diminuisce il numero, ma non di molto.
Nei paesi occidentali una volta vinta la battaglia per l’approvazione delle leggi di regolamentazione dell’aborto, i vari gruppi di pressione, il dibattito pubblico e la politica non si sono più occupati della questione, lasciando che, col tempo, l’aborto si trasformasse da “extrema ratio” nella vita di una donna, a un evento tutto sommato possibile, che si continua a definire drammatico ma che sempre meno viene preso in carico dalla collettività. Abortire viene considerata la soluzione di un problema personale di una donna, che spesso in nome della libera scelta viene lasciata sola davanti ad un’unica possibilità – quella di interrompere la gravidanza, appunto.
Negli ambienti pro-life da sempre si è sostenuto che l’introduzione delle leggi di regolamentazione dell’aborto, se non molto restrittive, avrebbero contribuito a creare una cultura favorevole alle interruzioni di gravidanza. Si è dimostrata falsa l’idea secondo la quale facendo venire alla luce un fenomeno tenuto in clandestinità, gli aborti sarebbero diminuiti perché controllati e regolamentati.
La questione non è meramente medica, non riguarda la quantità di mezzi contraccettivi a disposizione e la loro diffusione: è evidente che il problema è più profondo, e coinvolge un atteggiamento di fronte alle relazioni affettive, una consapevolezza delle proprie azioni, un’educazione alla responsabilità personale, la comprensione del valore e del significato della maternità. Argomenti che attraversano gli schieramenti pro-choice e pro-life, e che meriterebbero di essere affrontati al di là di quei pregiudizi ideologici che per decenni hanno bloccato qualsiasi riflessione pubblica comune sul tema.
di Assuntina Morresi
Il triste spettacolo di un governo in fuga da se stesso
Quando Prodi e il suo governo hanno preso il timone del paese sapevamo che non ci sarebbero piaciuti. Conoscevamo in anticipo il sapore della zuppa che ci avrebbero somministrato: tasse, prediche anti-evasione, una politica estera irenista e codina, un po’ di zapaterismo de’ noantri, sindacalismo a iosa e una buona dose di revanchismo anti-berlusconiano come condimento.
Quello che non potevamo aspettarci a un anno e mezzo dalle elezioni è invece il completo stato confusionale del governo e delle forze che lo sostengono, la sensazione di una compagine allo sbando, arresa al peggio e senza alcuna capacità di recupero.
Non c’è traccia, a solo un anno e mezzo da quella mezza vittoria, di quel minimio di affidabilità, di “saper fare”, di senso delle istituzioni, di cui i vincitori si vantavano ampiamente e che in genere si era disposti a concedergli.
A guardare il campo di battaglia parlamentare di questi giorni, dalla batosta in Commissione di Vigilanza, alle sconfitte a ripetizione nei voti al Senato sulla finanziaria, viene davvero da chiedersi chi ci sia alla guida. Che fine hanno fatto le intelligenze sopraffine di cui il centro-sinistra si considera esclusivista? Dov’è Massimo D’Alema; a che pensa Piero Fassino; cosa medita Giuliano Amato; come si sente Tommaso Padoa Schioppa; che cosa ha in testa Romano Prodi; a che gioco gioca Veltroni? E tutti gli altri cavalli di razza: Bersani, Letta, Rutelli, Parisi, Marini, che dicono, che fanno?
Non ce n’è uno che sembri avere un’idea, che azzardi un colpo di timone, una manovra per salvare il bastimento. Sono tutti già in lotta per accaparrarsi le scialuppe e trovarsi con le mani libere da colpe e responsabilità quando tutto andrà a fondo.
Gli italiani che hanno votato per l’Unione, magari in fuga dall’improvvisazione e dalla poca dimestichezza del centro-destra, oggi non credono ai loro occhi e i 5 anni di Berlusconi trasfigurano nella memoria come un culmine di buon governo. Ho amici di sinistra che sarebbero pronti a rivalutare anche la legge Gasparri, per non parlare di quelle Castelli, Moratti o Maroni.
Quello che più colpisce in questo disastro quasi più umano che politico è l’uomo nuovo, Walter Veltroni. Colui che doveva planare come un’ala salvatrice sulla tempesta e rischiarare la rotta. Invece è lì che cincischia, che non sceglie, sempre incerto tra la via più facile e quella più conveniente. Vuole e disvuole, dissimula: dice di non voler votare con questa legge elettorale ma intanto fa i conti per capire quanti uomini suoi può piazzare con le liste bloccate e quante regioni può recuperare con il premio regionale del Senato. Preferisce perdere senza colpe che tentare una vittoria mettendosi in gioco. La sua totale indecisione fa sì che oggi un autorevole quotidiano gli attribuisca un asse con Bertinotti per il governo istituzionale e un altro – altrettanto autorevole – lo descrive alleato di Prodi per il voto subito.
Intanto la maggioranza perde pezzi, va sotto un voto sì e uno no, sempre in attesa dello scivolone decisivo che travolga tutto. Il dopo-Prodi è già cominciato, e si galleggia in un limbo comatoso e malinconico. Tanto che la spallata dell’opposizione oggi è sembra attesa come il pietoso intervento di chi pone fine all’accanimento terapeutico.
Dicono che Berlusconi aspetti solo il momento giusto per calare il suo poker d’assi e assestare il colpo di grazia al governo. Quel momento sembra arrivato e gli stessi che ieri lo accusavano di bluffare oggi sperano che sia tutto vero.
di Giancarlo Loquenzi
Quello che non potevamo aspettarci a un anno e mezzo dalle elezioni è invece il completo stato confusionale del governo e delle forze che lo sostengono, la sensazione di una compagine allo sbando, arresa al peggio e senza alcuna capacità di recupero.
Non c’è traccia, a solo un anno e mezzo da quella mezza vittoria, di quel minimio di affidabilità, di “saper fare”, di senso delle istituzioni, di cui i vincitori si vantavano ampiamente e che in genere si era disposti a concedergli.
A guardare il campo di battaglia parlamentare di questi giorni, dalla batosta in Commissione di Vigilanza, alle sconfitte a ripetizione nei voti al Senato sulla finanziaria, viene davvero da chiedersi chi ci sia alla guida. Che fine hanno fatto le intelligenze sopraffine di cui il centro-sinistra si considera esclusivista? Dov’è Massimo D’Alema; a che pensa Piero Fassino; cosa medita Giuliano Amato; come si sente Tommaso Padoa Schioppa; che cosa ha in testa Romano Prodi; a che gioco gioca Veltroni? E tutti gli altri cavalli di razza: Bersani, Letta, Rutelli, Parisi, Marini, che dicono, che fanno?
Non ce n’è uno che sembri avere un’idea, che azzardi un colpo di timone, una manovra per salvare il bastimento. Sono tutti già in lotta per accaparrarsi le scialuppe e trovarsi con le mani libere da colpe e responsabilità quando tutto andrà a fondo.
Gli italiani che hanno votato per l’Unione, magari in fuga dall’improvvisazione e dalla poca dimestichezza del centro-destra, oggi non credono ai loro occhi e i 5 anni di Berlusconi trasfigurano nella memoria come un culmine di buon governo. Ho amici di sinistra che sarebbero pronti a rivalutare anche la legge Gasparri, per non parlare di quelle Castelli, Moratti o Maroni.
Quello che più colpisce in questo disastro quasi più umano che politico è l’uomo nuovo, Walter Veltroni. Colui che doveva planare come un’ala salvatrice sulla tempesta e rischiarare la rotta. Invece è lì che cincischia, che non sceglie, sempre incerto tra la via più facile e quella più conveniente. Vuole e disvuole, dissimula: dice di non voler votare con questa legge elettorale ma intanto fa i conti per capire quanti uomini suoi può piazzare con le liste bloccate e quante regioni può recuperare con il premio regionale del Senato. Preferisce perdere senza colpe che tentare una vittoria mettendosi in gioco. La sua totale indecisione fa sì che oggi un autorevole quotidiano gli attribuisca un asse con Bertinotti per il governo istituzionale e un altro – altrettanto autorevole – lo descrive alleato di Prodi per il voto subito.
Intanto la maggioranza perde pezzi, va sotto un voto sì e uno no, sempre in attesa dello scivolone decisivo che travolga tutto. Il dopo-Prodi è già cominciato, e si galleggia in un limbo comatoso e malinconico. Tanto che la spallata dell’opposizione oggi è sembra attesa come il pietoso intervento di chi pone fine all’accanimento terapeutico.
Dicono che Berlusconi aspetti solo il momento giusto per calare il suo poker d’assi e assestare il colpo di grazia al governo. Quel momento sembra arrivato e gli stessi che ieri lo accusavano di bluffare oggi sperano che sia tutto vero.
di Giancarlo Loquenzi
domenica 28 ottobre 2007
Si può aiutare la Birmania?
Dopo l'iniziale concitazione mondiale, l'attenzione dei media sulla Birmania si è progressivamente affievolita. Ma giornali e televisioni hanno un'attenuante: da quando la repressione è stata sedata, con i monaci nelle prigioni o nuovamente rinchiusi nei monasteri, ben poche notizie di rilievo sono filtrate dalla Birmania. E alle Nazioni Unite, dove si gioca la partita delle sanzioni, continua lo stallo totale: la Cina, come ha recentemente ribadito, è contraria a qualsiasi misura punitiva contro il regime militare di Than Shwe.
Il regime birmano, comunque, sa bene di dover concedere qualcosa: perlomeno in apparenza, come ha fatto con la leader dell'opposizione. I movimenti del governo continuano ad essere monitorati dall'Onu: stando alle ultime notizie, Gambari dovrebbe fare ritorno nel paese nella prima settimana di novembre. Dopo di lui, sbarcherà a Rangoon anche Sergio Pinheiro, relatore delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ma da quando ha lasciato la Birmania, dopo la sua prima visita, l'ex ministro degli Esteri nigeriano non è certo stato con le mani in mano: Gambari si trova tuttora in giro per i paesi asiatici, a caccia di sostegno per misure più efficaci contro la dittatura birmana.
Unici paesi a continuare imperterriti sulla via delle sanzioni sono Stati Uniti e Australia. Il presidente americano, George W. Bush, ha annunciato la scorsa settimana un ulteriore inasprimento delle misure, richiamando poi all'ordine Cina e Russia. Sul fronte australiano, invece, la Reserve Bank of Australia (RBA) ha deciso mercoledì di imporre sanzioni fiscali contro 418 generali militari e le loro famiglie: ogni movimento monetario dovrà ora essere approvato dalla banca stessa.
Infine, la repressione. Dopo giorni di relativa calma, in molti hanno segnalato ieri un deciso incremento delle forze di polizia per le strade: il timore è che, terminata la quaresima buddista, i monaci decidano di riprendere la protesta. Un giornalista della Reuters, al quale è stato impedito di scattare fotografie, ha parlato di assembramenti militari intorno alle pagode di Sule e Shwedagon, epicentro delle proteste di agosto e settembre. Rotoli di filo spinato sono già pronti per chiudere eventualmente le strade. Ma accuse ben più inquietanti sono recentemente piovute sulla giunta. Se "Human Rights Watch" richiama l'attenzione sulle condizioni disperate in cui si trovano le minoranze etniche birmane e gli attivisti denunciano imperterriti gli arresti indiscriminati, l'Onu ha invece lanciato ufficialmente l'allarme fame: cinque milioni di persone non hanno abbastanza cibo per sopravvivere.
E mentre il governo arruola finti monaci che si dimostrino benevolenti nei confronti del governo e dei suoi omaggi, il quotidiano inglese "Independent" ha citato una fonte diplomatica britannica sotto anonimato secondo la quale la Birmania è ormai "terra di prigionia", con raid notturni, processi sommari e veri e propri "campi di nuova vita", molto simili ai "centri di rieducazione" istituiti da Pol Pot in Cambogia. Secondo il funzionario britannico, altre proteste sulla scia di quelle di settembre sono improbabili anche se la popolazione "è determinata a dare prova della sua resistenza".
Gli ultimi numeri della repressione, forniti da Tate Naing della Assistance Association of Political Prisoners , parlano di oltre 4000 arresti da parte della giunta (tra monaci, attivisti e persone comuni) da quando la repressione ha preso il via; almeno 700 persone sarebbero ancora dietro le sbarre. Secondo il governo birmano, invece, la maggior parte degli arrestati sarebbe già in libertà e solo 190 persone sarebbero ancora sotto custodia.
sabato 20 ottobre 2007
Islamizzazione silente
Due settimane fa Abdelmajid Zergout, è tornato a guidare le preghiere della comunità mussulmana di Varese. A maggio, dopo esser stato riconosciuto appartenere al gruppo radicale islamico combattente marocchino, Zergout era stato prosciolto dalla Prima Corte d'Assise di Milano per una serie di vizi formali. Sottoposto a provvedimento urgente d'espulsione, sulla base del decreto Pisanu, era rimasto in libertà grazie al ricorso presentato dal suo legale rappresentante avanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'imam, accusato di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale (come peraltro sottolineato dalla stessa sentenza delle Corte «mostra una chiara adesione alla ideologia islamica fondamentalista, raccoglie denaro per la causa comune, ed esalta la lotta all'infedele attraverso il jihad ») è, dunque, nuovamente libero di predicare odio e intolleranza sul suolo italiano, sfruttando la democrazia occidentale per far apologia di terrorismo.
Il ministro degli Interni, che pure avrebbe avuto la facoltà di espellere il terrorista (coinvolto a vario titolo nella strage di Madrid) ha mostrato, allora, un chiaro atteggiamento di negligenza e d'indifferenza, tendente quasi a sottrarre gravità alla questione fondamentalista-islamica. Insomma, il governo ha disatteso alla principale responsabilità che imporrebbe «di predisporre un piano capace di contrastare razionalmente la strisciante avanzata integralista sui diversi fronti di battaglia», condannando i cittadini alla paura.
Il forte relativismo culturale delle sinistre ha, ormai, prodotto l'abbattimento dei limes fisico-culturali contribuendo ad agevolare un graduale ed inesorabile sgombero di ideali, innestato in virtù di un progetto disomogeneo di pluralismo ed integrazione, privando radicalmente gli stessi cittadini della capacità di far valere il più basilare diritto alla sicurezza, condannandoli, insomma, a subire il disegno integralista dell'Ummah globale. Dunque, l'inerzia della politica italiana sta favorendo, nei fatti, la dilagante offensiva islamista: l'esecutivo tende ancora a sottovalutare la forte componete anticristiana ed antioccidentale di cui si compone la propaganda fondamentalista, auspicando, all'inverso, un ingenuo tentativo di dialogo fra popoli e culture, impossibile sintesi tra valori europei ed il mondo arabo.
Il paradosso è più che evidente: ad agosto il Cesis aveva rilevato la formazione di una cintura ultrafondamentalista in tutto il Nord Italia «con la tendenza a realizzare un coordinamento nazionale e transnazionale». Un dato preoccupante che s'aggrava ancor più se messo in relazione alla straordinaria crescita del numero dei luoghi di culto islamici in Italia: dai 696 del dicembre 2006 ai 735 censiti lo scorso maggio 2007. Eppure, la reticenza delle istituzioni potrebbe, un giorno, mettere in pericolo le nostre stesse libertà fondamentali, condannandoci a divenire dissidenti o clandestini nel nostro stesso Paese.
articolo di Alexandra Javarone - 20 ottobre 2007. Ragionpolitica.it
Il ministro degli Interni, che pure avrebbe avuto la facoltà di espellere il terrorista (coinvolto a vario titolo nella strage di Madrid) ha mostrato, allora, un chiaro atteggiamento di negligenza e d'indifferenza, tendente quasi a sottrarre gravità alla questione fondamentalista-islamica. Insomma, il governo ha disatteso alla principale responsabilità che imporrebbe «di predisporre un piano capace di contrastare razionalmente la strisciante avanzata integralista sui diversi fronti di battaglia», condannando i cittadini alla paura.
Il forte relativismo culturale delle sinistre ha, ormai, prodotto l'abbattimento dei limes fisico-culturali contribuendo ad agevolare un graduale ed inesorabile sgombero di ideali, innestato in virtù di un progetto disomogeneo di pluralismo ed integrazione, privando radicalmente gli stessi cittadini della capacità di far valere il più basilare diritto alla sicurezza, condannandoli, insomma, a subire il disegno integralista dell'Ummah globale. Dunque, l'inerzia della politica italiana sta favorendo, nei fatti, la dilagante offensiva islamista: l'esecutivo tende ancora a sottovalutare la forte componete anticristiana ed antioccidentale di cui si compone la propaganda fondamentalista, auspicando, all'inverso, un ingenuo tentativo di dialogo fra popoli e culture, impossibile sintesi tra valori europei ed il mondo arabo.
Il paradosso è più che evidente: ad agosto il Cesis aveva rilevato la formazione di una cintura ultrafondamentalista in tutto il Nord Italia «con la tendenza a realizzare un coordinamento nazionale e transnazionale». Un dato preoccupante che s'aggrava ancor più se messo in relazione alla straordinaria crescita del numero dei luoghi di culto islamici in Italia: dai 696 del dicembre 2006 ai 735 censiti lo scorso maggio 2007. Eppure, la reticenza delle istituzioni potrebbe, un giorno, mettere in pericolo le nostre stesse libertà fondamentali, condannandoci a divenire dissidenti o clandestini nel nostro stesso Paese.
articolo di Alexandra Javarone - 20 ottobre 2007. Ragionpolitica.it
Birmania abbandonata !
L'inviato dell'Onu Gambari è partito per un giro turistico di sei nazioni (Thailandia, Malesia, Indonesia, Giappone, India e Cina) "per promuovere una soluzione pacifica della crisi". Le autorità birmane lo hanno invitato a tornare nel paese a metà novembre, lui spera di fare un po' prima. Con calma, mi raccomando. Sempre Gambari ha definito "extremely disturbing" le notizie che si erano diffuse circa l'arresto di alcuni dissidenti e ha chiesto alla Giunta di porre fine a queste azioni. Immediatamente. Ha chiesto anche il rilascio della leader del partito di opposizione, Aung San Suu Kyi. Aung San Suu Kyi è ancora agli arresti domiciliari e per quanto riguarda la repressione...
L'11 ottobre il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha adottato una dichiarazione in cui deplorava la repressione di fine settembre. La Giunta ha fatto sapere, tramite stampa, che la cosa non gli causa nessuna preoccupazione, visto che la situazione in Birmania non rappresenta una minaccia per la pace e la sicurezza regionale o internazionale e quindi l'Onu non ha ragione di avviare alcuna iniziativa contro di loro. I ministri degli Esteri dell'Unione Europea si sono riuniti il 15 ottobre, bontà loro, e hanno deciso di porre l'embargo sull'importazione di legname, pietre preziose e metalli preziosi dalla Birmania. Peccato che si siano scordati del gas e del petrolio. La Total ringrazia.
Noi, la società civile, ci siamo commossi davanti alla Tv, ci siamo indignati perché nessuno faceva niente, ci siamo addobbati con nastrini e magliette rosse per un giorno e poi siamo tornati a pensare ai fatti nostri. Si parla di Veltroni, della famiglia reale inglese, di moda, di Prodi, i reggicalze della Brambilla... Tutto come da copione.Intanto, dietro la cortina calata sulla protesta dei monaci e della popolazione birmana, le repressioni continuano, gli arresti continuano, le torture continuano, le deportazioni ai campi di lavoro continuano. Sicuramente almeno fino a metà novembre, quando tornerà Gambari e troverà un paese mite e pacificato.
Fate girare questa notizia o altre che parlino della Birmania. Non permettete ai nostri mezzi di comunicazione di farci vedere, stupire...e dimenticare. Continuate a diffondere.
visitate http://www.irrawaddy.org/
L'11 ottobre il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha adottato una dichiarazione in cui deplorava la repressione di fine settembre. La Giunta ha fatto sapere, tramite stampa, che la cosa non gli causa nessuna preoccupazione, visto che la situazione in Birmania non rappresenta una minaccia per la pace e la sicurezza regionale o internazionale e quindi l'Onu non ha ragione di avviare alcuna iniziativa contro di loro. I ministri degli Esteri dell'Unione Europea si sono riuniti il 15 ottobre, bontà loro, e hanno deciso di porre l'embargo sull'importazione di legname, pietre preziose e metalli preziosi dalla Birmania. Peccato che si siano scordati del gas e del petrolio. La Total ringrazia.
Noi, la società civile, ci siamo commossi davanti alla Tv, ci siamo indignati perché nessuno faceva niente, ci siamo addobbati con nastrini e magliette rosse per un giorno e poi siamo tornati a pensare ai fatti nostri. Si parla di Veltroni, della famiglia reale inglese, di moda, di Prodi, i reggicalze della Brambilla... Tutto come da copione.Intanto, dietro la cortina calata sulla protesta dei monaci e della popolazione birmana, le repressioni continuano, gli arresti continuano, le torture continuano, le deportazioni ai campi di lavoro continuano. Sicuramente almeno fino a metà novembre, quando tornerà Gambari e troverà un paese mite e pacificato.
Fate girare questa notizia o altre che parlino della Birmania. Non permettete ai nostri mezzi di comunicazione di farci vedere, stupire...e dimenticare. Continuate a diffondere.
visitate http://www.irrawaddy.org/
venerdì 19 ottobre 2007
Dimmi che cerchi su Google e ti dirò chi sei...
La parola “Viagra” risulta la più ricercata in assoluto in Italia...certo, siamo considerati i latin lovers per eccellenza? La classifica delle parole più ricercate dal 2004 ad oggi, rintracciabile sul sito “Google Trends”, afferma anche un'altra verità: la proibizione porta al peccato, come è vero che Adamo ed Eva, con a disposizione tutto quel ben di Dio (e proprio il caso di dirlo) furono fatalmente attirati dall'unica cosa che gli venne interdetta, una succosa mela rossa penzolante dall'albero della conoscenza.
Infatti, guarda caso, la parola “sesso” risulta essere la più cercata in Egitto, India e Turchia, paesi in cui l'amore carnale risulta essere ancora un tabù e chi lo pratica (fuori dal matrimonio), viene definito peccatore.
Ancora, vi sorprendereste di sapere che la parola “Hitler” viene digitata più spesso dai tedeschi e gli austriaci? No di certo. Anche se parliamo di “Jihad”, le aspettative vengono confermate in pieno: Indovinate dov'è che Google dichiara il maggior numero di contatti con questa parola...Marocco, Indonesia e Pakistan, tutti paesi a maggioranza musulmana.
Cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia, come recita una delle poche formule semplici di matematica. Infatti, dov'è che si beve più birra in assoluto? Bravi: Inghilterra e Irlanda e quale può essere allora la parola chiave più gettonata a Dublino e Londra? “Hangover”, che significa reggere l'alcol, naturalmente.
Un altro esempio, gli utenti argentini di Google optano più spesso per la parola “Burrito”, cosa che a questo punto ci si poteva aspettare, no? comunque molto più rassicurante di “Nazismo” o “Jihad”. Vediamo che cosa cercano gli iracheni dai...salta fuori “United States”, strano, eh? Strano anche che “AIEA” (L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) sia la parola più ricercata in Iran. Ecco di seguito la classifica completa in ordine di apparizione nel motore di ricerca più famoso del mondo e rigorosamente in inglese.
“Jihad” - Morocco, Indonesia, Pakistan
“Terrorism” - Pakistan, Philippines, Australia
“Hangover” - Ireland, United Kingdom, United States
“Burrito” - United States, Argentina, Canada
“Iraq” - United States, Australia, Canada
“Taliban” - Pakistan, Australia, Canada
“Tom Cruise” - Canada, United States, Australia
“Britney Spears” - Mexico, Venezuela, Canada
“Homosexual” - Philippines, Chile, Venezuela
“Love” - Philippines, Australia, United States
“Botox” - Australia, United States, United Kingdom
“Viagra” - Italy, United Kingdom, Germany
“David Beckham” - Venezuela, United Kingdom, Mexico
“Kate Moss” - Ireland, United Kingdom, Sweden
“Dolly Buster” - Czech Republic, Austria, Slovakia
“Car bomb” - Australia, United States, Canada
“Marijuana” - Canada, United States, Australia
“IAEA” - Austria, Pakistan, Iran
lunedì 8 ottobre 2007
Immigrazione : PROBLEMA e RISOLUZIONE
Difficile parlare di extracomunitari senza essere attaccato dalle solite critiche giustificazioniste. Nessuno può negare che non se ne può più! Ci stanno invadendo e, parafrasando un vecchio slogan leghista sono diventati "padroni a casa nostra" grazie anche ai nostri governanti che se li coccolano e gli fanno pure le leggi a favore. Si parla in questi giorni di prostituzione minorile e non, maschile e femminile, clonazione di carte di credito, furti in appartamenti, di auto e motorini, violenze sessuali e tutti i crimini comuni. Nella capitale il 75,5 % dei crimini sono commessi da rumeni. Dichiara Adriana Spera, capogruppo al Comune di Roma del Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea: "Una 'integrazione ragionevole', che persegua sostanzialmente alcuni importanti obiettivi: l'integrita' ed i diritti della persona, l'integrazione, la pacifica convivenza, che portino ad una convivenza sociale nella quale nessun gruppo percepisca l'altro come una minaccia" . Basta con questi discorsi scontati e che non danno risposte concrete ad un paese che, ora come mai, il tema della sicurezza è diventato all’ordine del giorno. La gente non si fa più scrupoli ad ammettere che ha paura. La paura quando diventa insostenibile genera in ribellione, se non trova risoluzioni in violenza, in questo caso anche in razzismo. La storia ne fa carta. In Slovenia dilaga la rivolta razzista anti-rom. Scenari inquietanti per un Paese che nella prima metà del 2008 presiderà l'UE. Per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo problema, in novembre scorso ha avuto luogo una marcia, che partendo da Lubiana, ha toccato anche Trieste e Monfalcone. Ad Ambrus c'è stato sabato scorso il primo caso di violenza, con in prima fila la testa insanguinata di un contestatario locale che assieme ad altre centinaia di compaesani bloccava le strade impedendo alla polizia l'accesso all'insediamento rom. Ogni ipotesi di insediamento dei rom, in qualsiasi parte del paese, persino a Lubiana, porta in strada le cosiddette "vaške straže" la cui simbologia politica rievoca direttamente il collaborazionismo filonazista nella seconda guerra mondiale.
Quando si sono aperte le frontiere dell’UE a Bulgaria e Romania nel 2007, gli stati già membri come Austria, Inghilterra e Germania, diligentemente hanno provveduto subito a respingere l’attacco, limitandone gli ingressi in base al fabbisogno del mercato.
Il nostro governo come al solito, dalla mafia agli extracomunitari, sembra in letargo ogni volta che si presenta un’emergenza. Ora è tardi per affrontare il problema ma, in un modo o nell’altro, va attenuato. Fa strano sentirlo ma siamo in una vera è propria emergenza sicurezza. Delle soluzioni concrete e drastiche possono essere oggetto di vittorie elettorali. Per non essere retorico come le persone che fino ad ora ho criticato vorrei proporre delle soluzioni, sicuramente discutibili:
- Anche se membri dell’UE, ogni cittadino straniero che ha commesso almeno due crimini comuni o un crimine grave, all’interno del territorio italiano verrà espulso;
- Con appositi accordi, gli stati stranieri devono assicurare il controllo delle frontiere e se corrotti , una clausola permetterà il controllo delle frontiere da personale militare italiano ;
- I centri di accoglienza devono essere sorvegliati da personale militare per evitare fughe ;
- Lo stato italiano deve fare campagne pubblicitarie, o meglio, campagne preventive negli stati con maggior affluenza immigrati, mostrando che l’arrivo al nostro paese costa la vita, che le donne le fanno prostituire e non lavorare…
Queste proposte sono buttate così sul tavolino, senza vedere i limiti legali e senza essere stati discussi. Occorrerebbe organizzare un tavolo sulla sicurezza x confrontarci almeno noi Cdl e cercare di trovare una soluzione o almeno un paliativo al problema. Una volta trovate le soluzioni bisogna ottenere il consenso di qualche partito della maggioranza per approvarlo, dato che, se si lascia far a loro, tra comunisti e radicali… si dovrà fare una nuova legge sull’indulto perché oramai i carceri saranno pieni.
Nicola Santoro
( Sanmolis )
domenica 7 ottobre 2007
Le imprese italiane e i loro affari in Birmania
Con la giunta militare birmana si fanno ottimi affari. Il business nostrano col governo che da due settimane sta usando il pugno di ferro per reprimere le manifestazioni pro-democrazia iniziate dai monaci buddisti ammonta quest’anno a quasi 121 milioni di euro. Lunghissimo l’elenco delle imprese italiane grandi e piccole coinvolte nel giro e che quest’anno hanno importato dalla Birmania soprattutto legname, abbigliamento e pietre preziose per un totale di 59.592.916 euro. Tra i nomi eccellenti figurano fiori all’occhiello del made in Italy di lusso come Bulgari, che quest’anno ha importato preziosi per circa 386mila euro.Mentre la diplomazia internazionale protesta per la repressione in Birmania, l’Italia continua a chiudere affari d’oro con la giunta di Than Shwe. Cifre da capogiro che nel 2006, tra import-export, hanno raggiunto gli oltre 120 milioni di euro coinvolgendo circa 360 aziende italiane. Si parte dall’Oviesse, del noto gruppo Coin, che – nonostante un codice di condotta conforme alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alle convenzioni sui diritti dei lavoratori dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro - è legata al regime birmano da un fatturato di oltre 2,5 milioni di euro.
Buone alleanze anche per il gruppo Auchan che in Birmania ha comprato per oltre 460 mila euro, e per l’italiana Bulgari gioielli con un conto di circa 380 mila euro. Va anche meglio alla francese Van Cleef&Arpels Logistic, che produce articoli di lusso per 4,8 milioni di euro. Meno note alcune imprese come la Bellotti Spa (oltre 7 milioni di euro), e la Nord Compensati Spa (2,4 milioni di euro), mentre stupisce che in alcuni casi si tratti di imprese che, come la Margaritelli e la Gazzotti nel settore del legname, vantano la certificazioni di ecosostenibilità “Fsc”, ma non altrettanta attenzione per i diritti umani. Per le esportazioni il giro di affari supera 60 milioni di euro, ma la presenza italiana si concentra in poche aziende concentrate nei settori meccanici e di difesa. Alla Danieli Officine Meccaniche Spa - specializzata in prodotti industriali nel settore dell’acciaio – il legame con il paese asiatico ha fruttato più di 55 milioni di euro, mentre l’Avio Difesa e Spazio, insieme agli altri settori di Avio Spa, ha mosso nel settore dei componenti aerospaziali militari e civili oltre 1,4 milioni di euro. Ma non è tutto. E’ di circa 60 milioni di euro il giro di affari delle esportazioni. Tra le aziende compare la Avio Spazio Difesa che, insieme alla Avio Spa, ha fatturato quest’anno circa 1milione400mila euro. Leader nella propulsione aerospaziale, come recita il suo sito internet, la Avio è specializzata nella produzione di motori e componenti militari e vanta, tra le altre, la collaborazione con le nostre Forze Armate. Nel dossier non è indicato cosa venda esattamente ai generali birmani.
Le imprese italiane non possono macchiarsi le mani di sangue mantenendo relazioni con l'odierna giunta militare che ha sotto il suo tallone un intero popolo, vessato, torturato e ucciso. Se non intervegono le imprese contro il governo birmano figuriamoci se lo farà il governo italiano incapace di imporsi nemmeno in politica interna. Certo, ognuno ha i propri interessi, ma portiamo avanti la nostra tradizione umanitaria.
Sanmolis
sabato 6 ottobre 2007
Esistono due Portale delle Libertà : il nostro è il primo
Cari lettori del Portale delle Libertà,
vorrei rendervi nota una situazione,difficile da spiegare, che non è certo piacevole per il nostro blog. Il progetto di creare un blog in cui si parlasse di politica, di informazione, di denunce, amicizia e così via nacque nel 2006 grazie a Nicola Santoro (detto: Sanmolis ) che riuscì a mobilitare un gruppo di amici con la stessa passione. Il blog ha garantito sempre la pluralità di informazione e infatti venne chiamato: Portale delle Liberta.
Tutto un tratto è stato creato un "nuovo portale delle libertà" che non è il nostro ma che senz'altro è più competitivo di noi. Ora vi spiego cos'è il "Nuono Portale delle Libertà".IL Nuono Portale delle Libertà raccoglierà proposte e osservazioni da parte di tutti coloro che vorranno contribuire al nuovo programma di governo del centrodestra. Il Portale delle Libertà, raccoglie oltre cento siti selezionati di cultura, politica, economia ed informazione giornalistica italiani ed internazionali. Uno strumento agile e dinamico per mettere in Rete tutti i think tank dell'area di centrodestra: dalle fondazioni agli istituti di ricerca, dalle associazioni ai partiti, dai giornali e dalle riviste ai blog del popolo delle libertà.
La cosa che ci rammarica è che :
Il nome "Portale delle Libertà" era stato creato già nel 2006. Nel 2007 ne è stato creato un'altro con il nome "Portale della libertà". Nel nostro sito si è notata un'impennata di accessi, le statistiche degli utenti in linea impazzivano e la cosa divenne sospetta. Infondo non siamo così bravi da interessare un unumero elevato di persone. Dopo delle ricerche si scoprì che la gente andava su Google e scriveva il "Portale delle libertà" pensando di andare a visitare il "Portale della libertà" (state attenti, la differenza sta nella A). A questo punto, da ragazzi corretti, mandammo una mail al "Portale della libertà" segnalando il disguido e promettendo di aver inserito un link reinviando gli utenti nel "Portale della libertà" e che magari ci potevano inserire tra i loro link...
Da bravi ragazzi cosa abbiamo ottenuto?
Che hanno registrato anche il "Portale delle libertà" (con la E invece che con la A), non ci hanno inserito tra i loro link e non ci hanno risposto. Non è finita qui!! Non mi piace fare accuse che potrebbero essere infondate ma... secondo voi è un caso che fino a settembre se scrivevi su Google "Portale delle libertà" appariva il nostro sito per primo mentre ora esce alla quarta pagina tra i risultati non idonei? Il "New Portale delle libertà" appare per primo... se questa è libertà, se questo è il popolo di destra... Complimenti! Il nostro "Portale delle libertà" vi ringrazia e vi fà gli auguri di buon lavoro! Noi abbiamo ben recepito il concetto di Libertà e di denuncia e ,in base a ciò, continueremo a comportarci coerentemente. In assoluta libertà!
Un saluto da la redazione
del "Portale delle Libertà"
http://sanmolis.blogspot.com/
vorrei rendervi nota una situazione,difficile da spiegare, che non è certo piacevole per il nostro blog. Il progetto di creare un blog in cui si parlasse di politica, di informazione, di denunce, amicizia e così via nacque nel 2006 grazie a Nicola Santoro (detto: Sanmolis ) che riuscì a mobilitare un gruppo di amici con la stessa passione. Il blog ha garantito sempre la pluralità di informazione e infatti venne chiamato: Portale delle Liberta.
Tutto un tratto è stato creato un "nuovo portale delle libertà" che non è il nostro ma che senz'altro è più competitivo di noi. Ora vi spiego cos'è il "Nuono Portale delle Libertà".IL Nuono Portale delle Libertà raccoglierà proposte e osservazioni da parte di tutti coloro che vorranno contribuire al nuovo programma di governo del centrodestra. Il Portale delle Libertà, raccoglie oltre cento siti selezionati di cultura, politica, economia ed informazione giornalistica italiani ed internazionali. Uno strumento agile e dinamico per mettere in Rete tutti i think tank dell'area di centrodestra: dalle fondazioni agli istituti di ricerca, dalle associazioni ai partiti, dai giornali e dalle riviste ai blog del popolo delle libertà.
La cosa che ci rammarica è che :
Il nome "Portale delle Libertà" era stato creato già nel 2006. Nel 2007 ne è stato creato un'altro con il nome "Portale della libertà". Nel nostro sito si è notata un'impennata di accessi, le statistiche degli utenti in linea impazzivano e la cosa divenne sospetta. Infondo non siamo così bravi da interessare un unumero elevato di persone. Dopo delle ricerche si scoprì che la gente andava su Google e scriveva il "Portale delle libertà" pensando di andare a visitare il "Portale della libertà" (state attenti, la differenza sta nella A). A questo punto, da ragazzi corretti, mandammo una mail al "Portale della libertà" segnalando il disguido e promettendo di aver inserito un link reinviando gli utenti nel "Portale della libertà" e che magari ci potevano inserire tra i loro link...
Da bravi ragazzi cosa abbiamo ottenuto?
Che hanno registrato anche il "Portale delle libertà" (con la E invece che con la A), non ci hanno inserito tra i loro link e non ci hanno risposto. Non è finita qui!! Non mi piace fare accuse che potrebbero essere infondate ma... secondo voi è un caso che fino a settembre se scrivevi su Google "Portale delle libertà" appariva il nostro sito per primo mentre ora esce alla quarta pagina tra i risultati non idonei? Il "New Portale delle libertà" appare per primo... se questa è libertà, se questo è il popolo di destra... Complimenti! Il nostro "Portale delle libertà" vi ringrazia e vi fà gli auguri di buon lavoro! Noi abbiamo ben recepito il concetto di Libertà e di denuncia e ,in base a ciò, continueremo a comportarci coerentemente. In assoluta libertà!
Un saluto da la redazione
del "Portale delle Libertà"
http://sanmolis.blogspot.com/
giovedì 27 settembre 2007
Intercettazioni, la Giunta salva D'Alema e molla Fassino
Massimo D'Alema si salva. Gli atti su Unipol che lo riguardano, cioè le telefonate in cui diceva a Consorte "facci sognare", dovranno andare all'europarlamento perché le intercettazioni possano essere utilizzate.
Piero Fassino e l'azzurro Salvatore Cicu invece dovranno farsene una ragione: i loro colloqui con Consorte e gli altri indagati della scalata alla Bnl potranno essere utilizzati anche come prova per successive incriminazioni per concorso in aggiotaggio e insieder trading. Oggi pomeriggio alle 17, dopo mesi di interminabili discussioni, la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati è finalmente arrivata a una prima decisione: per il ministro degli Esteri si sono dichiarati incompetenti, per Fassino e Cicu, no. Alla fine il giochetto di rimandare tutto l'incartamento alla Forleo, che sembrava la logica conclusione del tutto solo la settimana scorsa, non è passato perché in giunta si è messo di traverso il commissario Federico Palomba dell'Italia dei valori, minacciando sfracelli per conto di Di Pietro. Così alla fine il coniglio dal cilindro tirato fuori da qualche anonimo e solerte funzionario della giunta lo scorso mercoledì non ha avuto l'effetto di trascinamento previsto. E se D'Alema può tirare un ampio respiro di sollievo, Fassino e Cicu già dai prossimi giorni potrebbero dovere avere a che fare con carta bollata, avvocati e avvisi di garanzia.
L'organismo di Montecitorio si era già riunito alle 9 di mattina per un'ora, poi, dopo una sosta è tornato in conclave alle 14,15. Nella seduta di questa mattina era intervenuto Elias Vacca, relatore per la posizione del ministro degli Esteri. Praticamente alle 14 però era già tutto deciso, ma in giunta sono saltati fuori i garantisti di entrambi gli schieramenti e c'è stato un braccio di ferro tra chi voleva ridare alla Forleo tutto o solo il fascicolo di D'Alema. Alla fine per ragioni di immagine, o di casta, ha prevalso questa seconda linea e adesso già oggi la Camera potrebbe decidere se avallare o meno questa scelta.
Un particolare curioso che però rivela come ormai il mondo dell' "informazione fai da te" superi in tempismo quello del giornalismo: due giorni fa su un blog della piattaforma "fainotizia" di radioradicale.it era apparso il post di uno che si fa chiamare "lineagotica" che anticipava il cambio di strategia della giunta e che diceva di averlo saputo a un festival dell' Unità a San Piero in Bagno.
Più precisamente dall'onorevole dell'Ulivo Sandro Brandolini che avrebbe anticipato al blogger le intenzioni della giunta di concedere le autorizzazioni per le telefonate in cui è coinvolto Fassino ma di avere dovuto lottare non poco per vincere le sue ovvie resistenze. Secondo l'estensore del post intitolato "Forse autorizzano l'intercettazione relativa a D'Alema! indiscrezione ricevuta da un Deputato dell'Ulivo" (in realtà hanno autorizzato quella per Fassino, ndr), il deputato in questione gli avrebbe parlato di guerre intestine al partito nel caso Unipol e di strenua resistenza del segretario dei Ds alla tendenza oramai attuata di sacrificare lui per salvare Fassino si è dovuto rassegnare. E domani sarà l'aula a decidere della sua futura carriera politica. Come se non bastasse l'incognita del Pd.
Ora i politici strepitano: che vergogna la pubblicazione delle telefonate! Il problema sono le intercettazioni, non quello che i politici nelle intercettazioni dicono. Ora proveranno a fare una legge per blindarsi dentro il Residence della Politica
Al Qaeda si finanzia nelle moschee durante il Ramadan
Riferiscono alcune fonti che ogni anno, in Algeria, si raccolgono durante il Ramadan circa un miliardo di dollari, buona parte dei quali dovrebbero finire in un conto corrente bancario del ministero per gli Affari religiosi per essere convertiti in opere destinate ai più poveri.
Secondo quanto riporta il giornale arabo 'al-Quds al-Arabi', i diplomatici americani sono molto preoccupati per il fatto che il danaro versato dai fedeli - in ottemperanza al terzo pilastro dell'Islam, che prevede la sua redistribuzione ai più poveri della comunità - possa invece finire sui monti dove si nascondono i terroristi. Per questo una delegazione del governo americano ha incontrato nei giorni scorsi il ministro algerino per gli Affari religiosi, Bouabdullah Ghulamallah, al quale ha espresso le proprie preoccupazioni. Il ministro, però, sembra che abbia risposto stizzito alle domande degli americani, sottolineando come la responsabilità dell'uso di questi soldi non sia del ministero bensì degli stessi donatori. Un funzionario del ministero ha inoltre aggiunto che Ghulamallah avrebbe anche respinto la richiesta degli americani di affiancare ai loro dirigenti una squadra di tecnici per la gestione dei fondi.
Il mese di Ramadan, sacro per tutti i musulmani, è diventato un problema per gli apparati di sicurezza della maggior parte dei paesi arabi. Nel corso del mese di digiuno si svolgono numerose attività, come gli incontri comunitari nelle moschee e la raccolta della Zakat, che servono ai gruppi terroristici per reclutare nuovi seguaci e rifornirsi di danaro. In particolare, il problema si pone in Algeria, dove è certo che parte dei soldi della Zakat versati dai musulmani vengono usati per finanziare al-Qaeda nel Maghreb islamico. A dirlo chiaramente sono stati il Dipartimento di Stato americano e l'ambasciata statunitense ad Algeri.
In generale, comunque, l'avanzata del terrorismo in tutti paesi arabi sta costringendo le autorità locali a prendere nuovi provvedimenti per evitare che il Radaman ed i suoi riti diventino occasione per il finanziamento e la propaganda delle cellule di al-Qaeda.
Il delegato del ministero per gli Affari islamici, Abdelaziz al-Seideri, ha lanciato un appello a tutti i fedeli e agli Imam attraverso l'agenzia di stampa saudita, affinché il denaro raccolto per il Ramadan venga dato solo agli enti caritatevoli autorizzati dal governo.
martedì 25 settembre 2007
"L’Europa fermi il sistema coop"
Intervista esclusiva a Bernardo Caprotti che presenta il suo dossier-denuncia sull'intreccio di potere fra Legacoop e politica.
Milano, 22 settembre 2007 - La concorrenza, per Bernardo Caprotti è un valore irrinunciabile. In particolare nella grande distribuzione, anello di congiunzione fra i consumatori e il mondo della produzione. E’ proprio sul concetto di concorrenza che il patron di Esselunga ha introdotto cinquant’anni fa, insieme a Nelson Rockefeller, i supermercati in Italia, abbattendo i prezzi degli alimentari anche del 20 o del 30% ovunque comparisse la sua grande esse. «Ma ci sono alcune zone d'Italia — accusa Caprotti in questa intervista esclusiva, la prima concessa a un quotidiano, la terza in tutta la sua vita — dov’è difficilissimo esercitare la concorrenza, semplicemente perché non ti permettono di entrare. In questi territori i prezzi sono molto più elevati che altrove, grazie a un monopolio esclusivo e inespugnabile».
Sono le zone a dominanza Coop. Nel suo libro «Falce e carrello», l’imprenditore brianzolo, 82 anni, denuncia le gravi distorsioni esistenti in Italia a favore delle cooperative, di cui è stato vittima e testimone nei passati decenni. Distorsioni talmente vistose da portare la Commissione Europea a promuovere accertamenti ufficiali e a chiedrgli una sua testimonianza.
Che cosa le ha detto Neelie Kroes, la commissaria europea alla Concorrenza?
«Era molto interessata. Con oltre 50 miliardi di euro di fatturato, il 3% del Pil, il gruppo Legacoop è la terza impresa italiana, dopo Eni e Fiat. Domina un quarte del mercato della grande distribuzione. Dà lavoro a oltre 400mila persone. E’ presente in Borsa con alcune società, fra cui Unipol. Insomma, non sono certo dei poveracci. Eppure godono di vantaggi fiscali inauditi: basti pensare che l’imposta sugli utili societari (Ires), incide sull’utile lordo delle Coop solo per il 17%, contro un’incidenza del 43% sull'utile lordo di una società non cooperativa come l’Esselunga. Una differenza di 26 punti percentuali. E’ proprio questo divario ingiustificato che ha fatto rizzare le orecchie alla Commissione Europea».
Lei crede che ci sarà una procedura d'infrazione?
«Mi sembra plausibile. La Commissione ha già inviato a Palazzo Chigi una lettera dove si chiede conto del regime agevolato di cui godono le nove maggiori cooperative. La contestazione principale riguarda proprio il fatto che, a differenza di altre imprese, le Coop non pagano le tasse su buona parte degli utili. A Bruxelles sospettano che anche la nuova normativa configuri un aiuto di Stato, vietato dai trattati europei. La richiesta non rappresenta ancora l’apertura di un’inchiesta formale, ma è il passo preliminare per permettere alla signora Kroes di decidere se farla partire».
Da dove deriva questo trattamento di favore per le Coop?
«Gli intrecci fra gli affari e la politica cui ho assistito in tutti questi anni sono talmente estesi, che non potrebbe essere altrimenti. Giuliano Poletti, presidente di Legacoop, è stato segretario del Pci a Imola. Turiddo Campaini, presidente di Unicoop Firenze, era consigliere comunale dei Ds a Empoli. Pierluigi Stefanini, oggi presidente di Unipol, è stato segretario del Pci bolognese, presidente di Legacoop a Bologna, oltre che membro del comitato scientifico di Nomisma, il centro di studi economici fondato a Bologna nell’81 da Romano Prodi. Ma questi sono solo pochi esempi. Se ne potrebbero fare a decine. Decine di personaggi che si sono messi regolarmente di traverso, sostenuti dagli enti locali, tutte le volte che ho cercato di aprire dei supermercati nelle ‘loro’ zone. Con grande efficacia».
In pratica, un sistema impenetrabile. Ma allora, perché non ha mollato?
«Sono molto testardo. Hanno tentato in tutti i modi di farmi vendere, ma non ci sono riusciti. Aldo Soldi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative consumatori (Ancc-Coop), si è fatto interprete più volte di questa aspirazione. Non per profitto, per carità! Solo per difendere il sistema produttivo italiano, specie quello agroalimentare, dal pericolo di una vendita di Esselunga a un acquirente straniero: un supermercato straniero, sosteneva Soldi, tenderà a vendere prodotti stranieri. Assunto completamente smentito dai fatti. Basta fare un sondaggio, per scoprire che i prodotti alimentari stranieri hanno la stessa incidenza sugli scaffali di tutta la grande distribuzione italiana, da Carrefour a GS, da Auchan a Esselunga. Stranieri o italiani non fa differenza. Soldi è arrivato a dire che le Coop si sentivano in ‘diritto-dovere’ di comprare Esselunga, per difendere le piccole imprese alimentari italiane! Ma questa campagna in piena regola è stata talmente insistente che alla fine hanno ottenuto l’effetto contrario».
Quando?
«Credo che il colpo definitivo l’abbia dato proprio Romano Prodi, nel febbraio 2006. Di fronte all’incalzare delle Coop e all’età che avanza qualche interrogativo me l’ero posto, nell’estate del 2005. Ma Prodi, durante una puntata di Porta a porta è andato oltre i limiti, enunciando in campagna elettorale l’obbligo per il governo di ‘mettere insieme’ Coop ed Esselunga. In qualche modo: quale, non si sa. Ha detto proprio così. ‘Abbiamo le Coop, c’è ancora l'Esselunga’. E ha continuato: il governo ‘le può mettere assieme, può aiutarle a fare una politica perché stiano assieme’. Non credevo alle mie orecchie. Grazie a Prodi, sono ancora qui. E ho tutta l’intenzione di restarci».
Allora non è vero che vuole vendere a Tesco?
«Non ci penso nemmeno. Potrei vendere soltanto a un acquirente coerente con la filosofia dell’Esselunga. E Tesco non sarebbe coerente, ha un approccio completamente diverso, quasi da discount».
C’è qualcuno a cui venderebbe volentieri?
«I supermercati americani Wegmans mi piacciono molto e anche gli inglesi di Waitrose, ma non ho mai avuto contatti con loro. Vendere non è obbligatorio».
Ma se ne parla. Lei ha una certa età e suo figlio Giuseppe è uscito dall’azienda nel 2004, dopo un tentativo fallito. Le figlie Violetta e Marina, a loro volta, non sembrano interessate. E quindi?
«C’è l’ipotesi della quotazione, seriamente considerata ma mai studiata a fondo. Potrebbe essere un’opzione, per avere la liquidità necessaria ad espanderci e una platea di soci. Forse saremmo più forti, anche politicamente. Sarebbe ora...»
Afghanistan: gli italiani fanno la guerra e il Prc minaccia il governo
di Carlo Panella
Gennaro Migliore ha chiarito in Parlamento –sia pure con tatto- il senso di quanto è accaduto realmente in Afghanistan, là dove i nostri due militari erano stati palesemente impegnati in azione di vera e propria guerra –probabilmente per impedire rifornimenti di armi iraniane ai Talebani- e non in azione “di copertura” e tantomeno umanitaria.Lo strano, stranissimo rifiuto di Arturo Parisi di comunicarne i nomi al Parlamento conferma questo quadro. Non si tratta di agenti del Sismi, ma di membri dell’esercito ormai fuori dal teatro operativo. Non dichiararne le generalità ha un significato solo: la loro azione non era verbalizzata nei ruolini. Il segreto di Stato copre l’azione, dunque ed è invocato –questo è gravissimo- solo e unicamente perché l’attuale maggioranza di governo non può tollerare di sapere quel che autorevoli testimoni sanno e dicono riservatamente: in Afghanistan nostri uomini compiono azioni di commando, combattono in pieno la guerra, e questa è la ragione per cui gli alleati sopportano le bizze verbali del nostro governo “pacifista”. Migliore è stato dunque inequivocabile: “"Non condivido l'idea che vi possano essere dei “caveat” diversi per il nostro esercito. Perché se si modificasse la regola d'ingaggio per i nostri militari e si associassero alle operazioni belliche, i rischi a cui andrebbero incontro gli italiani sarebbero ancora maggiori”. Con ottime doti da equilibrista, dunque, il capogruppo di Prc ha avvisato il governo che sa tutto e che oggi tace, ma solo perché l’azione è tutto sommato finita bene, ma che non tollererà altri episodi simili.
Ma il punto politico della giornata è ancora più grave. Mentre infatti il comando Isaf preparava l’azione di liberazione armata degli ostaggi –preparazione ovviamente iniziata almeno domenica mattina- il nostro ministro degli Esteri annunciava domenica sera, urbi et orbi, di avere chiesto formalmente e direttamente, la mediazione di Manoucher Mottaki, ministro degli esteri dell’Iran.
D’Alema scrive sempre lo stesso libro e impiega lo stesso schema. Per Mastrogiacomo si appoggiò –sciaguratamente- su un aperto estimatore dei Talebani rapitori e un avversario politico aperto dell’azione Isaf. Per i due soldati prigionieri, si è rivolto al padrino dichiarato dei Talebani rapitori, al rappresentante del paese che fornisce loro le armi, proprio in quella zona, come rivelò il Washington Post il 6 settembre e hanno confermato le agenzie dello stesso 22 settembre. Giorno in cui sono stati intercettate armi iraniane –la coincidenza con la azione in cui sono stati catturati gli italiani non è, ovviamente, casuale- fornite proprio ai Talebani della provincia di Farah, tra queste, mine antiuomo iraniane usate proprio oggi nell’attentato mortale contro i militari spagnoli.
Rivolgersi pubblicamente –non riservatamente, questo è il punto- a Mottaki, significa essere pronti a pagare il prezzo politico che il padrino dei Talebani avrebbe potuto esigere una volta ottenuto il risultato. Così è andata con Gino strada. Così D’Alema ha scelto che andasse anche in questo caso, pronto a pagare un prezzo politico e quindi, come ha già fatto più volte assieme a Romano Prodi, a incrinare la solidarietà europea e atlantica nell’azione contro l’Iran e i suoi programmi nucleari.
Ma mentre D’Alema tesseva la sua tela –al solito- è stato spiazzato da un comando Isaf che ormai ben conosce il trasformismo cinico del governo Prodi (pubblicamente criticato per la gestione del caso Mastrogiacomo) e che ha subito dato un taglio netto a tutte le disponibilità italiane, chiaramente espresse, di pagare riscatti di ogni tipo. Il tutto, mentre cresceva l’irritazione di Arturo Parisi nei confronti di D’Alema –il nostro ministro della Difesa è nettamente schierato, solidarmente con l’Isaf- che ha voluto farla trapelare –al solito- attraverso il Corriere della Sera (come già fece criticando apertamente la gestione del caso Mastrogiacomo).
Paradossalmente, per la prima volta, è stato applicato l’articolo 11 della Costituzione che, al ripudio la guerra –ma non in generale, come si dice, ma solo limitatamente a quella d’aggressione- subito dopo affianca una frase decisiva, che ne ribalta il senso, in situazioni quali l’Afghanistan e l’Iraq, aggiungendo che la Repubblica italiana “consente alle limitazioni di sovranità (..) necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.”
Dunque, il governo italiano ha compiuto una scelta limpida e coraggiosa, ma solo perché non ha deciso da solo, solo perché ha ceduto sovranità all’Isaf. Solo perché ha dato il suo assenso –dovuto- ad una decisione del comando militare americano.
Gennaro Migliore ha chiarito in Parlamento –sia pure con tatto- il senso di quanto è accaduto realmente in Afghanistan, là dove i nostri due militari erano stati palesemente impegnati in azione di vera e propria guerra –probabilmente per impedire rifornimenti di armi iraniane ai Talebani- e non in azione “di copertura” e tantomeno umanitaria.Lo strano, stranissimo rifiuto di Arturo Parisi di comunicarne i nomi al Parlamento conferma questo quadro. Non si tratta di agenti del Sismi, ma di membri dell’esercito ormai fuori dal teatro operativo. Non dichiararne le generalità ha un significato solo: la loro azione non era verbalizzata nei ruolini. Il segreto di Stato copre l’azione, dunque ed è invocato –questo è gravissimo- solo e unicamente perché l’attuale maggioranza di governo non può tollerare di sapere quel che autorevoli testimoni sanno e dicono riservatamente: in Afghanistan nostri uomini compiono azioni di commando, combattono in pieno la guerra, e questa è la ragione per cui gli alleati sopportano le bizze verbali del nostro governo “pacifista”. Migliore è stato dunque inequivocabile: “"Non condivido l'idea che vi possano essere dei “caveat” diversi per il nostro esercito. Perché se si modificasse la regola d'ingaggio per i nostri militari e si associassero alle operazioni belliche, i rischi a cui andrebbero incontro gli italiani sarebbero ancora maggiori”. Con ottime doti da equilibrista, dunque, il capogruppo di Prc ha avvisato il governo che sa tutto e che oggi tace, ma solo perché l’azione è tutto sommato finita bene, ma che non tollererà altri episodi simili.
Ma il punto politico della giornata è ancora più grave. Mentre infatti il comando Isaf preparava l’azione di liberazione armata degli ostaggi –preparazione ovviamente iniziata almeno domenica mattina- il nostro ministro degli Esteri annunciava domenica sera, urbi et orbi, di avere chiesto formalmente e direttamente, la mediazione di Manoucher Mottaki, ministro degli esteri dell’Iran.
D’Alema scrive sempre lo stesso libro e impiega lo stesso schema. Per Mastrogiacomo si appoggiò –sciaguratamente- su un aperto estimatore dei Talebani rapitori e un avversario politico aperto dell’azione Isaf. Per i due soldati prigionieri, si è rivolto al padrino dichiarato dei Talebani rapitori, al rappresentante del paese che fornisce loro le armi, proprio in quella zona, come rivelò il Washington Post il 6 settembre e hanno confermato le agenzie dello stesso 22 settembre. Giorno in cui sono stati intercettate armi iraniane –la coincidenza con la azione in cui sono stati catturati gli italiani non è, ovviamente, casuale- fornite proprio ai Talebani della provincia di Farah, tra queste, mine antiuomo iraniane usate proprio oggi nell’attentato mortale contro i militari spagnoli.
Rivolgersi pubblicamente –non riservatamente, questo è il punto- a Mottaki, significa essere pronti a pagare il prezzo politico che il padrino dei Talebani avrebbe potuto esigere una volta ottenuto il risultato. Così è andata con Gino strada. Così D’Alema ha scelto che andasse anche in questo caso, pronto a pagare un prezzo politico e quindi, come ha già fatto più volte assieme a Romano Prodi, a incrinare la solidarietà europea e atlantica nell’azione contro l’Iran e i suoi programmi nucleari.
Ma mentre D’Alema tesseva la sua tela –al solito- è stato spiazzato da un comando Isaf che ormai ben conosce il trasformismo cinico del governo Prodi (pubblicamente criticato per la gestione del caso Mastrogiacomo) e che ha subito dato un taglio netto a tutte le disponibilità italiane, chiaramente espresse, di pagare riscatti di ogni tipo. Il tutto, mentre cresceva l’irritazione di Arturo Parisi nei confronti di D’Alema –il nostro ministro della Difesa è nettamente schierato, solidarmente con l’Isaf- che ha voluto farla trapelare –al solito- attraverso il Corriere della Sera (come già fece criticando apertamente la gestione del caso Mastrogiacomo).
Paradossalmente, per la prima volta, è stato applicato l’articolo 11 della Costituzione che, al ripudio la guerra –ma non in generale, come si dice, ma solo limitatamente a quella d’aggressione- subito dopo affianca una frase decisiva, che ne ribalta il senso, in situazioni quali l’Afghanistan e l’Iraq, aggiungendo che la Repubblica italiana “consente alle limitazioni di sovranità (..) necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.”
Dunque, il governo italiano ha compiuto una scelta limpida e coraggiosa, ma solo perché non ha deciso da solo, solo perché ha ceduto sovranità all’Isaf. Solo perché ha dato il suo assenso –dovuto- ad una decisione del comando militare americano.
venerdì 7 settembre 2007
Il Portale delle libertà aderisce al V-day
Beppe Grillo da diverso tempo ha lanciato il v-day che serve per la raccoltà di firme per la proposta di iniziativa popolare sugli inquisiti eletti nel parlamento.
Ci ho pensato un pò prima di pubblicarlo, ma credo che la raccolta di firme sia un sistema democratico che sovrintende qualsiasi altra considerazione.
Quali erano la mie preoccupazioni: il vaffanculo day suona un pò da atteggiamento qualunquista ma in realtà non è così.
Ci sarebbero davvero tante ragioni per mandare a fanculo tutti i nostri politici o quasi, ma qui si tratta davvero di una cosa incredibile: gli stessi che urlano contro i lavavetri agli angoli delle strade sono quelli che sono stati inquisiti o peggio sono stati condannati e siedono ancora in parlamento.
E' una proposta contro i politici di professione, è una proposta di legge che dovrebbe essere trasversale, come purtroppo i politici inquisiti.
Ho sempre inteso la politica come passione. Credo che essa debba essere messa al servizio delle idee che permettano ad una società di avanzare e di migliorare.
L'attuale classe politica ha perso di vista questo suo ruolo, diventando molto spesso autoreferenziale. Con l'ultima legge elettorale riguardante l'elezione dei parlamentari questa tendenza ha raggiunto il culmine. Si è impedito ai cittadini di scegliere il proprio candidato, permettendo ai partiti di portare in parlamento persone "fedelissime", a volte del tutto sconosciute agli elettori.
Il Portale delle libertà aderisce al V-Day per questi motivi:
- La politica è divenuta risibile e il V-Day è uno dei tentativi di cambiare qualcosa
- Crediamo nelle spinte propulsive popolari capaci di trapassare i colori politici e le divergenze ideologiche per migliorare etica, morale e politica in Italia
- Il Portale delle libertà da sempre compie un'azione di critica nei confronti dei politici, spesso di entrambi gli schieramenti.
Ci sembra che il V.day, malgrado certi toni rivoluzionari, sia sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda
Abbiamo aderito quindi al V-Day indetto da Beppe Grillo per raccogliere le firme necessarie a proporre una legge di iniziativa popolare, che permetta di cambiare questa situazione.
Nicola Santoro
Redazione "Il Portale delle libertà "
giovedì 6 settembre 2007
Sicurezza interna. Sinistra in crisi
Dopo un anno e più di governo la sinistra si è accorta di essere in crisi sulla sicurezza e si dimostra propositiva e interessata sul tema, al punto da riempire le pagine dei giornali; e perfino le divisioni al suo interno fanno emergere decisioni sofferte, che comunque si intendono assumere, nonostante i contrasti. E’ sufficiente un rapido bilancio di quanto Prodi e compagni hanno fatto sul punto fino a questo momento: -Il ministro dell'Interno ha più volte in Parlamento denunciato la pesante riduzione dei fondi dall'ultima Legge finanziaria: l'incremento del carico fiscale, cui hanno fatto seguito maggiori entrate, è stato paradossalmente accompagnato dalla decisione di ridurre complessivamente di un miliardo di euro l'intero sistema della sicurezza. Risultato: Amato ha riferito di aver chiesto ai Vigili del Fuoco di non pagare i canoni di locazione degli immobili nei quali operano e di utilizzare i pochi soldi rimasti per fare benzina! A proposito di benzina: nella Finanziaria del 2006 la voce relativa al carburante e alle riparazioni delle vetture delle forze di polizia era di circa 67 milioni di euro; nel 2007 è stata ridotta a 27: 40 milioni di euro in meno da un esercizio finanziario all'altro! Questo spiega l'incremento sensibile di incidenti stradali, anche mortali, corrispondenti alla diminuzione dei controlli, a sua volta conseguente al fatto che più della metà delle automobili delle forze dell'ordine restano in garage.
-E’ patetico l’interesse quasi esclusivo sui lavavetri, mentre rapinatori, ladri, estorsori e omicidi viaggiano in libertà. E’ vero che l’indulto è stato votato dai 3/4 dei parlamentari, ma è altrettanto vero che il governo Prodi ha dato un contributo decisivo al suo varo: in particolare, il ministro Mastella, enfatizzando il problema carceri e portando alla Camera e al Senato dati falsi su quanti avrebbero fruito del provvedimento di clemenza (12.000, a suo dire; 43.000, a distanza di un anno), e il ministro Amato, rifiutando di illustrarne le prevedibili conseguenze in termini di incremento dei reati più gravi. Ciò ha permesso di rimettere anzitempo in libertà - e di restituire al loro disonesto lavoro - migliaia di rapinatori, ladri ed estorsori. In un anno rapine, furti, estorsioni e omicidi sono cresciuti: è proprio il caso di continuare a parlare di lavavetri? Non servono nuove figure di reato per questi illeciti da strada: serve la puntuale applicazione di regole la cui inosservanza è stata colpevolmente tollerata. Accompagnata dal ricordo che il “no ai lavavetri” è stato finora contraddittoriamente affiancato dal “sì ai clandestini”: un anno abbondante di scelte amministrative del governo Prodi ne ha incrementato il numero, consolidando uno dei fattori più diffusi di aumento della criminalità.
-L’indulto gli italiani non lo volevano. E’ servito a evitare il carcere a chi, spesso molto vicino ai partiti, aveva commesso reati contro la pubblica amministrazione, reati finanziari, reati societari, reati fiscali. Il resto sono balle.
Mastella è stato messo lì per questo. E’ un inciucione bipartisan. Garantisce tutti, tranne i cittadini.
Gli effetti dell’indulto si sono visti in questi mesi. Adesso un Governo di impuniti ci dice che vuole impedire le scarcerazioni facili. Che vuole combattere la microcriminalità.
Secondo una analisi costi-benefici
I dati ISTAT mostrano che a fronte di una spesa media per detenuto calcolata intorno ai 70mila euro l’anno (2), la società civile paga un prezzo stimato di 150mila euro in conseguenza dei crimini commessi in media dai detenuti che usufruiscono del beneficio di clemenza. E si tratta di una stima che pecca per difetto, perché non tiene conto di alcune tipologie di reati per i quali è impossibile stabilire un costo, come lo spaccio di stupefacenti, i tentativi di omicidio o la
È dunque assolutamente necessario riequilibrare il rapporto tra costi e benefici della detenzione.
Prima dell’indulto del luglio 2006 la popolazione carceraria italiana era pari a 60mila persone. Grazie all’indulto ne sono state liberate circa 26mila. Ma a giugno 2007, ultimo dato disponibile, si era già tornati alla capienza regolamentare delle carceri, e cioè 43mila detenuti. Tra pochissimo, dunque, si riproporrà il problema del sovraffollamento. Prima di riparlare di atti di clemenza, andrebbero almeno introdotte misure di selezione più efficienti di quelle adottate finora.
martedì 4 settembre 2007
Si svendono le case...ma per i politici
Roma - Da affittopoli ad acquistopoli. Anche un mercato immobiliare drogato come quello romano, secondo l’Espresso, offre qualche curiosa sorpresa. Gli «annunci immobiliari» snocciolati sull’ultimo numero del settimanale sono davvero interessanti. Ma è tutto già venduto a nomi noti: da Veltroni a Casini, da Violante a Mastella. E da sinistra qualcuno già annuncia querele.
Una palazzina al quartiere Trieste, 30 vani e cinque appartamenti, finiscono all’ex moglie, alle figlie e all’ex suocera del leader Udc Pierferdinando Casini per 1,8 milioni di euro. Un appartamento al Vaticano, sei vani, doppi servizi, cantina e balconi, se lo aggiudica Maura Cossutta del Pdci per 165mila euro, comprando dalla Scip, insieme alla vicina di casa, e senatrice dell’Ulivo, Franca Chiaromonte, che spende 113mila euro per 4 vani al piano di sotto. Nel quartiere della Balduina, l’ex ministro Mario Baccini acquista da Initium attico e superattico (15 vani) a 875mila euro. Luciano Violante sgancia all’ex Ina solo 327mila euro per una casa su tre livelli con due terrazze al foro Traiano, in via di Sant’Eufemia.
Benvenuti a Svendopoli, annuncia l’Espresso. Presentando l’immancabile sequel dell’indimenticato Affittopoli lanciato dal Giornale nel ’96. Vaticinato, due legislature fa, da Marco Taradash, che in un’interrogazione del gennaio 2001 paventava la svendita di immobili di pregio a «esponenti del mondo politico, della magistratura, del giornalismo». Un film già visto, dunque, con i soliti protagonisti: politici, magistrati, sindacalisti, giornalisti e grand commis. Tutti accomunati da due elementi, sottolinea il settimanale diretto da Daniela Hamaui: «Sono potenti che hanno pagato troppo poco ieri per l’affitto e oggi per l’acquisto». Anche se, ricorda ancora il giornale, i buoni affari conclusi dai «potenti» non sono «elargizioni personali», ma frutto «del meccanismo degli sconti collettivi» concessi dagli enti previdenziali al momento della dismissione dei patrimoni immobiliari.
Ma «Svendopoli» non fa in tempo a esplodere che arriva, immediata, la replica di chi viene tirato in ballo. Minacciano querela il presidente del Senato Franco Marini (le modalità dell’acquisto dall’Inpdai dei 14 vani ai Parioli per 1 milione di euro sono «notizie false», sibila) e il guardasigilli Clemente Mastella. Il leader Udeur, secondo il settimanale, nel 2006 avrebbe fatto acquistare per un milione e 452mila euro la sede del giornale del suo partito, in largo Arenula, a una società intestata ai suoi figli, Elio e Pellegrino, grazie alla rinuncia del partito al diritto di prelazione concesso dall’Inail all’Udeur. I Mastella sono citati nell’inchiesta dell’Espresso anche per l’acquisto dall’Ina di 5 appartamenti a prezzo di favore sul lungotevere Flaminio, nel 2004. Prendiamo lo stabile Inpdai di via Velletri, a due passi da via Veneto. Al primo piano la moglie di Walter Veltroni ha comprato più o meno allo stesso prezzo pagato dall'ex sottosegretario Marianna Li Calzi che abita al quarto.
Ma le due storie sono diverse. Li Calzi ha ottenuto il suo attico alla vigilia della svendita a seguito di una discussa procedura pubblica. Veltroni invece è nato nelle case dell'ente previdenziale dei dirigenti. L'Inpdai aveva affittato sin dal 1956 un appartamento al padre, dirigente Rai.
Nel 1994 i Veltroni restituirono all'ente i due alloggi nei quali vivevano Walter e la mamma per averne in cambio uno più grande, il famoso primo piano di via Velletri da 190 metri quadrati che nel 2005 è stato acquistato dalla moglie del sindaco, Flavia Prisco, per 373 mila euro.
Il prezzo è basso per effetto non di un'elargizione personale ma per il meccanismo degli sconti collettivi concessi a tutti allo stesso modo. Altra cosa ancora sono gli acquisti delle case dell'Ina ora finite a Generali e Pirelli. Questi colossi privati in alcuni casi si sono comportati come spietati alfieri del libero mercato.Tutto ciò e assurdo. Ci sono giovani che non possono sposarsi perchè non hanno una casa, chi si sposa è costretto a fare un mutuo ed indebitarsi per tutta la vita, l'Italia è all'ultimo posto in Europa per crescita demografica...e i nostri politici che fanno? Fanno svendere le case. Non per noi, ma per loro che, tra l'altro, potrebbero permettersele anche a prezzi maggiori di quelli odierni. Con che faccia Casini e Mastella parlano di politiche familiari, Cossutta del Pdci di comunismo e proletariato? Si stanno svendendo anche le mogli con "divorzi di convenienza". Vergogna!! I vostri elettori vi hanno votato per scopi sicuramente più nobili, ma siete così distanti da loro da scordare il senso della civiltà.
lunedì 3 settembre 2007
I cristiani ripopolano l'Arabia, quattordici secoli dopo Maometto
Il 31 maggio la Santa Sede ha allacciato le relazioni diplomatiche e ha scambiato gli ambasciatori con gli Emirati Arabi Uniti.
Pochi l'hanno notato, ma gli Emirati Arabi Uniti sono il paese islamico con la più alta presenza di cristiani.
Ed è una presenza nuova e in crescita. Tutto l'opposto di quanto avviene in altre regioni del Medio Oriente come l'Iraq, il Libano, la Terra Santa, dove comunità cristiane di antichissime origini addirittura rischiano di scomparire.
Gli Emirati Arabi Uniti sono una federazione di sette emirati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Al-Fujayrah, Ras al-Khaimah, Sharjah e Umm al-Qaiwain, situati lungo la costa centro-orientale della penisola arabica. La capitale è Abu Dhabi. La religione ufficiale è l'islam, cui appartiene la quasi totalità dei cittadini.
Ma molto più numerosi dei cittadini sono gli immigrati. Su oltre 4 milioni di abitanti, gli stranieri sono oggi più del 70 per cento, provenienti da altri paesi arabi, dal Pakistan, dall’India, dal Bangladesh, dalle Filippine.
Di questi lavoratori stranieri, più della metà sono cristiani. Tirate le somme, negli Emirati Arabi Uniti i cristiani sono più del 35 per cento della popolazione. I cattolici sfiorano il milione. E non solo lì. Anche in Arabia Saudita si stima che i cattolici provenienti dalle Filippine siano già attorno al milione.
Ma chi sono e come vivono questi cristiani in terra d'Arabia? Qual è il volto di questa Chiesa giovane e in crescita? Quali sono i suoi margini di libertà?
Il reportage che segue risponde a queste domande. È uscito domenica 19 agosto sul quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire":
La Chiesa sommersa degli Emirati Arabi Uniti
di Fabio Proverbio
È pomeriggio e in compagnia di Santos e Lea attraverso in auto la frenetica Dubai. Intorno a me voluminosi Suv che a fatica avanzano nel congestionato traffico urbano, lussuosi e modernissimi edifici, immensi cantieri edili animati da eserciti di operai: la conferma che ci troviamo in una delle città più all'avanguardia e in fermento del pianeta.
Siamo diretti verso un luogo d'asilo messo a disposizione dalla diplomazia delle Filippine per ospitare e proteggere le giovani immigrate in fuga dai propri datori di lavoro.
Arrivato destinazione, in un elegante palazzo, incontro un centinaio di ragazze impegnate a compensare lo stato di naturale disordine generato dall'affollamento (vedi foto). Strette le une alle altre, intonano canti e preghiere, scambiandosi abbracci di reciproca consolazione. Osservo le lacrime che nessuna ragazza riesce a trattenere e cerco inutilmente di dare una ragione a tanta tristezza. Capirò al termine della preghiera, quando Santos e Lea mi raccontano le drammatiche esperienze vissute da queste giovani immigrate.
Sono storie quasi inverosimili, come quella di Beng che, stanca di essere tenuta rinchiusa nella casa dove prestava servizio e di sopportare molestie da parte dei membri della famiglia, ha tentato una disperata fuga, conclusasi con una rovinosa caduta e la rottura di un braccio. Soccorsa e condotta in ospedale da alcuni passanti, la ragazza è stata successivamente arrestata con l'accusa di tentato suicidio. L'intervento della diplomazia filippina ha finalmente rimesso in libertà l'immigrata che oggi, in questo luogo protetto, attende gli sviluppi del processo. Non miglior sorte è toccata alla domestica che ha prestato servizio dopo di lei presso la stessa famiglia: un nuovo tentativo di fuga col medesimo epilogo.
Santos e Lea fanno parte della Legione di Maria, il movimento cattolico divenuto qui il punto di riferimento per molte immigrate filippine che, in questa comunità, trovano non solo solidarietà, ma anche la necessaria assistenza legale per potersi affrancare da condizioni di lavoro spesso non corrispondenti a quelle definite nel contratto d'ingaggio.
Dopo aver salutato le giovani immigrate, che nel frattempo avevano almeno in apparenza riacquistato un principio di serenità e quello spirito gioviale che caratterizza il popolo filippino, parto per Abu Dhabi.
È domenica, ma in un paese musulmano come gli Emirati Arabi Uniti è un giorno qualsiasi. Eppure nella chiesa cattolica di San Giuseppe ad Abu Dhabi, nel tardo pomeriggio assisto a uno straordinario andirivieni di fedeli, appartenenti a gruppi etnici diversi, che qui vengono per poter partecipare alla messa celebrata nella propria lingua nazionale. Sono indiani, per lo più del Kerala o del Tamil Nadu, filippini, libanesi, iracheni o cristiani provenienti da altri paesi mediorientali, ma anche europei e americani.
Il venerdì, giorno festivo nei paesi musulmani, l'afflusso di fedeli è ancora più copioso, tanto che la chiesa non riesce a contenerli tutti. Molti devono seguire la celebrazione fuori, sul sagrato antistante, dove, in occasione di festività particolari come Natale o Pasqua, vengono allestiti degli schermi giganti per permettere a tutti la partecipazione. Tuttavia, come tiene a precisare monsignor Paul Hinder, vescovo del vicariato apostolico d'Arabia, coloro che frequentano regolarmente la parrocchia sono solo una piccola percentuale, il 15-18 per cento, della popolazione cattolica della capitale e dei dintorni.
* * *
I cristiani presenti negli Emirati Arabi Uniti rappresentano circa il 35 per cento della popolazione, per un totale di fedeli superiore al milione, in maggioranza cattolici.
Sono tutti lavoratori immigrati, molti dei quali, abitando in zone periferiche mal collegate alle città, non possono frequentare regolarmente i luoghi ufficiali di culto. È questo il caso di migliaia d'indiani occupati nei cantieri edili di Dubai ed alloggiati nel più grande villaggio-dormitorio dell'Asia che, secondo stime non ufficiali, ospiterebbe una popolazione di circa trecentomila operai. Oppure degli immigrati che lavorano nell'industria petrolifera, dislocati in lontani villaggi-oasi nel deserto.
Altro caso è quello delle domestiche filippine che, per mancanza di tempo libero o di denaro per il trasporto, restano vincolate al luogo dove lavorano. Di conseguenza, la preghiera organizzata in piccoli gruppi di fedeli, omogenei per lingua e provenienza, raccolti in ambienti privati – appartamenti, dormitori, rimesse – diviene un aspetto molto importante e diffuso dell'espressione religiosa delle comunità cattoliche. Si tratta di un momento di incontro necessario, ma rischioso per le regole imposte dalle autorità locali, che consentono la libertà di culto solo in ambiti ufficialmente riconosciuti come gli edifici parrocchiali presenti sul territorio. In questo contesto, i gruppi carismatici originari dell'India o delle Filippine assumono un ruolo importante nell'attivare iniziative a sostegno dell'immigrato che vive nelle condizioni più difficili. Spesso non si limitano ad iniziative religiose ma intervengono anche con servizi pratici d'assistenza, come nel caso della Legione di Maria.
Il fenomeno dell’immigrazione negli Emirati Arabi è relativamente recente ed è legato alla fortuna petrolifera della regione. Quando negli anni Cinquanta e Sessanta gli introiti petroliferi hanno cominciato a portare prosperità e progresso, lo sviluppo del paese ha reso necessario l’impiego di manodopera proveniente dall’estero, specializzata e non.
Oggi gli Emirati stanno subendo un processo di modernizzazione che non ha eguali nel mondo. I petroldollari vengono reinvestiti in strutture ed infrastrutture all’avanguardia, la borsa di Dubai sta assumendo importanza mondiale e il porto è tra i più frequentati del globo. Isole artificiali a forma di palma, piste da sci nel deserto, hotel dalle forme più improbabili e tutta una serie di costruzioni eccentriche – come la non ancora ultimata torre Burj Dubai, che dovrebbe essere l’edificio più alto al mondo – sono solo alcuni esempi delle "meraviglie" con cui gli emiri locali si sono proposti di sbalordire il mondo e di attirare gli investitori stranieri, che qui trovano favorevoli condizioni di investimento e un costo del lavoro bassissimo.
Gli immigrati rappresentano il 90 per cento dei quasi due milioni di lavoratori presenti negli Emirati, percentuale che raggiungere il 100 per cento per la manodopera a basso costo. Di fatto, agli arabi locali il concetto di povertà o è sconosciuto – per i più giovani – o è un ricordo sbiadito di tempi lontani. La mancanza di spinte alla realizzazione professionale ed economica – già garantite alla nascita – sta addirittura demotivando la futura classe dirigente del paese, con il rischio di renderla inadeguata ad affrontare le sfide imposte dalla globalizzazione.
Il termine stesso di "immigrato" è troppo generico per definire la realtà di chi oggi lavora per cambiare il volto del Golfo. Il vero statuto di questi lavoratori, anche di quelli che vivono ormai da parecchi anni negli Emirati, è quello di "espatriati", ovvero di persone la cui presenza nel paese è unicamente legata al possesso di un regolare contratto di lavoro, ma che mai potranno diventare residenti o acquistare case e terreni sul posto. Il loro destino è legato alle decisioni dei datori di lavoro, che spesso tengono in ostaggio il loro passaporto per timore di fughe o atti di insubordinazione. Gli ambiti di utilizzo di questa manodopera sono quelli legati all’industria petrolifera e, più recentemente, al settore edile e all’aiuto domestico.
Questi sono i nuovi poveri di Dubai e dintorni. Il loro salario mensile difficilmente supera i 150 euro, lavorano mediamente 10-12 ore al giorno, sei giorni su sette, a temperature che possono arrivare a 50 gradi centigradi. Vivono in sobborghi-dormitorio grandi quanto città, ma totalmente privi di servizi. Simili ad enormi caserme, questi villaggi sono popolati da uomini soli, per i quali la famiglia è un ricordo lontano, da raggiungere periodicamente con un vaglia postale che consentirà, ai più fortunati, di mandare a scuola i figli o di pagare i debiti di una famiglia troppo povera. Il miglior destino delle reclute di questo esercito di manovali è di poter spendere la propria vita professionale nei cantieri del Golfo con brevi visite ai propri cari ogni due-tre anni.
Parlare di povertà in un paese in rapidissima crescita economica – e che punta a diventare, per l’ambizione dei suoi governanti, uno dei poli più importanti dell’arte contemporanea, con l’apertura di musei e spazi espositivi – sembra un paradosso. Anzi, è una realtà particolarmente difficile da comprendere ed accettare per l’osservatore esterno, proprio a motivo dell’esagerata opulenza con cui si trova a convivere.
Ma anche questi aspetti vanno considerati per cercare di comprendere la realtà degli Emirati oggi: una terra di grandi contrasti, dove la tradizione si scontra con la modernità in una fusione unica, sorprendente e drammaticamente contraddittoria, di Oriente e Occidente.
Putin lancia il «sesso patriottico»
Sesso per la patria. In questo mese, in vari luoghi della Russia, si stanno tenendo i campi dell’organizzazione giovanile «Nashi» (Nostri), sponsorizzata dal Cremlino. Le decine di migliaia di partecipanti ascoltano gli appelli alla procreazione lanciati su richiesta del presidente Vladimir Putin, preoccupato per il calo della popolazione, «pericoloso per la sicurezza nazionale». Nella patriottica campagna si spinge in avanti il sindaco di Ulyanovsk, città natale di Lenin, proclamando per il 12 settembre la «Giornata del concepimento»: un intero giorno di vacanza per le coppie affinché si dedichino con agio a concepire un bambino che, auspicabilmente, venga al mondo esattamente nove mesi dopo, il 12 giugno, festa nazionale. Per i partecipanti alla maratona nel talamo, onori e sostanziosi premi - costose auto, frigoriferi, tv, ingenti somme di denaro - alla nascita dei bimbi.
Non si equivochi. Non si tratta di orge o di festival dell’erotismo, né di campagne ufficiali per il sesso facile. È un’iniziativa collettiva animata da spirito nazionale davanti alla concreta prospettiva che la popolazione russa, in costante declino, si riduca presto di un terzo, scendendo dai 141 milioni di oggi a poco più di cento nel 2050. Come riferiscono i giornali, nei campeggi di «Nashi» si incoraggia a far sesso, ma all’insegna di impegni seri: i giovani che flirtano sono sollecitati a sposarsi lì, sul posto. Si hanno matrimoni di massa celebrati con festeggiamenti in tutto il campo, dopo i quali ai novelli sposi viene assegnata la tenda nuziale nell’«oasi dell'amore», uno speciale settore a forma di cuore, con un discorso del «kommissar», ovvero un funzionario dell’organizzazione, indicato con un termine dell’età sovietica: «Ricordatevi dei mammut! Si sono estinti - dice - perché non facevano sesso abbastanza. Ciò non deve accadere in Russia».
Pur nella festosità della sollecitazione alla procreazione patriottica, l'atmosfera è austera: proibiti preservativi e anticoncezionali; per le ragazze, banditi reggiseni sexy e tanga «perché fanno rischiare la sterilità», distrutti sotto i loro occhi e sostituiti con monacali mutande e materni reggipetto d'antan. «Nashi», che raggruppa giovani universitari e delle scuole superiori, si ispira ai valori indicati da Putin: spirito nazionale per la Grande Russia, sostegno alla sua «democrazia guidata», diffidenza se non ostilità verso l’Occidente, specie gli Stati Uniti. Organizzata su modello del Komsomol, la lega dei giovani comunisti di età sovietica, con la sua nomenklatura interna dei «kommissar», «Nashi» è anche scuola di preparazione con prospettive di carriera politica o dirigenziale nelle grandi imprese degli oligarchi vicini al Cremlino, o di proprietà statale come Gazprom. A Ulyanovsk è il terzo anno che con crescente successo si tiene il 12 settembre la «Giornata del concepimento». Aderiscono oltre 500 coppie. Nel giugno scorso, premiate quelle che il 12 hanno avuto un figlio. Il primo premio è andato a una coppia che aveva già altri due bambini: un Suv «Patriota», premio speciale a una madre che ha voluto il cesareo per far nascere il pupo nel giorno della festa nazionale.
Putin ha denunciato il calo della natalità non per motivi religiosi, ma economici e militari. Ha parlato di «potenziale minaccia all’integrità e alla sicurezza dello Stato», lanciando una campagna per l’incremento delle nascite, con sussidi di 50 dollari al mese per ogni figlio e premi in servizi di circa 10mila dollari per il terzo. Non ha trattato però il costante aumento della mortalità e l’accorciamento della vita media, che in gran parte del mondo invece si allunga. L’aspettativa di vita è scesa nel 2003 a 67,66 anni, ponendo la Russia al 140° posto nel mondo; nel 2007 è previsto che cali a 65,87. Il tasso di natalità è passato da 2,08 nel 1990 a 1,17 nel 2004; quello di mortalità è salito da 10,7 nel 1988 a 16,3 nel 2004. Per 16 persone che muoiono nascono solo 10 dieci bimbi. Dagli inizi anni ’90, la popolazione russa diminuisce ogni anno di 700mila persone: il più pesante calo demografico al mondo in tempo di pace. Nella superpotenza dell’energia, come osserva lo scrittore Viktor Erofeev, «la morte trionfa sulla nascita».
domenica 13 maggio 2007
Family Day : l'immensa folla si fa sentire
Sono ben oltre il milione le persone che oggi hanno affollato piazza San Giovanni per il Family Day. Invasa dal popolo delle parrocchie, dai militanti di Comunione e liberazione, dagli appartenenti a decine di altre associazioni cattoliche, e anche molti immigrati e credenti di altre religioni. Tantissimi i bambini affianco ai genitori, in piazza anche vedove e orfani ''la famiglia resta tale anche dopo la morte del papa', e anzi ha bisogno di maggior tutela''. Sgabelli da campeggio, pranzo al sacco e idee chiare: i valori della famiglia, concepita ad immagine di quella di Nazareth. In piazza , portata a braccio da alcuni volontari, ha sfilato anche la statua copia della madonna di Fatima. La stessa che, itinerante, viene custodita, a turno, in varie diocesi in tutta Italia. Sul palco l'orchestra di Pirazzoli e il cantante Povia, ma non Antonella Ruggiero che ha dato forfait per andare invece alla manifestazione 'Coraggio Laico'. I canti, i balli, i racconti e le preghiere. Se non fosse una manifestazione laica, così l’hanno pensata i promotori, si potrebbe quasi pensare ad un raduno dei Papa Boys. Nessun coro da stadio, però, a parte un cartello che inneggia al “Forza Palermo”, non ci sono slogan, né simboli politici o bandiere di partito (ho intravisto solo poche bandiere della Casa Savoia in favore della famiglia e con il papa) . Solo poche magliette con la faccia di Prodi e su una scritta: “Quest’uomo ammazza le famiglie. Tutti coloro che sono convenuti a Piazza San Giovanni oggi sono qui per dimostrare che esistono e come la pensano. Sono qui, da padri, da madri, da nonni e nipoti. Hanno attraversato l'Italia e sopportano la canicola di un lungo pomeriggio romano per ribadire che difendere la famiglia significa difendere loro, i loro figli e il futuro di entrambi. A nessuno importa davvero a che ora arriverà Berlusconi, o se la piazza dell’orgoglio laico sta ottenendo un qualche successo. Questa è una piazza a cui non va di essere strumentalizzata. Chi oggi è qui lo fa solo per dare la sua personale testimonianza, per dimostrare che la famiglia è vitalità. Dal palco le note di popolari canzoni di Celentano, Tozzi e Mia Martini. Sullo spiazzo antistante tantissime le famiglie arrivate al gran completo, con nonni, bimbi in passeggino e anche cani al seguito. Molte chitarrre, canti e balli in cerchio fra la gente.
PEZZOTTA: «RIMETTERE LA FAMIGLIA AL CENTRO» - «Noi vogliamo bene alla nostra Costituzione e per questo vogliamo che la Repubblica Italiana si rimetta al centro il tema della famiglia dal punto di vista culturale, sociale, economico e politicò. Lo ha detto Savino Pezzotta nel suo intervento finale al Family Day. «La famiglia - ha aggiunto l'ex leader della Cisl - sempre più diventa un bene e un "affare" pubblico che contribuisce a formare la coesione sociale e la qualità dello sviluppo, elementi senza i quali la repubblica deperisce. Noi volgiamo fare della famiglia una "causa nazionale" e stabilire il principio che ognuno deve poter avere i figli che vuole, senza che questo comporti una drastica diminuzione del tenore di vita».
Non e' una manifestazione contro il governo, ripetono gli organizzatori da settimane ma gli slogan e gli striscioni ''contro'' non mancano: uno su tutti ''Rosy Bindi, D.I.C.O. vergogna''. Presenti tutti i leader Cdl, oltre Berlusconi, Fini, Casini, Buttiglione, Letizia Moratti, Tremaglia, Alemanno, ma anche due ministri, Mastella e Fioroni. Nessuna voce alla politica dal palco, ma tante cosidette dichiarazioni a margine: Mastella per esempio: ''Se Rutelli fosse stato qui con le sue gambe era meglio''. E a sua volta il presidente della Margherita commentando la manifestazione dice: ''Forte e serena la voce di piazza San Giovanni. La ascolteremo''. Dello stesso avviso il ministro Rosy Bindi che commenta: una bella manifestazione da ascoltare''.
Berlusconi ha detto dietro le quinte: «La manifestazione è un segnale forte per questo governo, che non ha una vera maggioranza». Fini che ha attraversato la piazza insieme al suo portavoce e Tremaglia, saluta i partecipanti, ride e fa battute. Alla moglie di un signore che insisteva di mandare via il governo dice: << Signora condoglianze, suo marito è assillante>>.
Devo ammettere che è stato molto toccante vedere persone disabili, accompagnatori e orfani sorridere, cantare, pregare, trasmettevano una gioia e serenità che da tempo avevo dimenticato. Molti di noi hanno salute, amore, soldi e si dimenticano di sorridere alla vita e ringraziare il Signore. Chi leggerà questo articolo, senza aver partecipato, non potrà capire le emozioni che questa giornata hanno suscitato su tantissima gente. Noi eravamo oltre 1 milione e per la famiglia, nella contro manifestazione 20 mila. Mio caro governo, prendi la calcolatrice, fatti i conti, tira le somme. Gli italiani non hanno bisogno dei Dico, ma di politiche familiari. Di politiche concrete, di politiche che nella storia repubblicana non abbiamo mai avuto… dobbiamo risalire al fascismo?
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