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venerdì 20 aprile 2007

Il Family Day: occasione unica e «vera»

«Il Family Day non giova». È la tesi sostenuta anche da
alcuni sacerdoti e sigle del mondo cattolico. Le ragioni
addotte sono diverse. Da un lato si ritiene che i Dico non
danneggino il matrimonio (cosa che invece Avvenire sta
dimostrando da mesi); dall'altro che una manifestazione
porti allo scontro e cancelli il dialogo sociale.

Certamente è importante che il Family day non si trasformi
in un Gay pride alla rovescia. Gli insulti, le parodie
(anche blasfeme), le manifestazioni di disprezzo, che molto
spesso caratterizzano i cortei gay, vanno banditi dal Family
Day.

Ma, detto ciò, il Family Day può essere un'occasione unica,
quasi storica, a disposizione di quella parte silenziosa
della società civile che viene quasi sempre ignorata dai
media, i quali, invece, garantiscono una sovraesposizione
impressionante solo agli esponenti della cultura
radical-libertaria (o alle poche sigle dissenzienti del
mondo cattolico). Durante la campagna referendaria sulla
fecondazione artificiale, leggendo la grande stampa e i
sondaggi, guardando le televisioni, sembrava che la
stragrande maggioranza del Paese volesse una legislazione
molto più permissiva rispetto alla legge 40. Invece sappiamo
come è andata: solo il 24 % ha votato, e solo il 20 % voleva
modificare la normativa vigente: il peggior risultato
referendario nella storia della nostra Repubblica.

Una grande manifestazione a sostegno del matrimonio è
un'opportunità formidabile per dare la parola ad un
popolo a cui non viene mai data voce (a parte le
meritorie prese di posizione del Forum delle famiglie,
a cui, comunque, viene dato ben poco spazio, pur
rappresentando circa tre milioni di famiglie),
che viene spesso ignorato, che cresce le nuove generazioni
in mezzo a molte difficoltà, con amore, laboriosità e
dedizione e che è assolutamente contrario ai Dico.

Un popolo che chiede da tempo la fine di un regime di
discriminazione fiscale che penalizza le famiglie con i
figli, che sono la più importante risorsa del paese, perché
una società che non procrea si suicida. Un popolo che i
politici non potranno più far finta di non vedere.

I media mettono in scena quasi solo matrimoni che si
sfasciano e famiglie che si disgregano: è vero che queste
disgregazioni avvengono, ma esistono altresì moltissimi
matrimoni riusciti, dove, come è inevitabile, le difficoltà
ci sono, ma vengono superate e dove l'amore resiste nel
tempo e si approfondisce per tutta la vita. Il Family Day
sarà il loro palcoscenico.

Se poi ciò che preoccupa queste sigle cattoliche (ma
speriamo di sbagliarci) è preservare il dialogo piuttosto
che il matrimonio, va detto che il dialogo è sì un metodo
fecondo di confronto, ma non può essere di per sé il fine,
bensì solo un mezzo per il reperimento della verità. Sia
permesso ricordare a questi cattolici che Gesù interviene
molte volte (con l'espressione "in verità, in verità vi
dico") per indicare la preminenza della verità e che egli
addita se stesso come quella meta dell'uomo che è "via,
verità e vita".

di Giacomo Samek Lodovici
in «Avvenire», "è famiglia", 13.04.2007

mercoledì 11 aprile 2007

Via i condannati dal Parlamento


Il ministro delle Infrastrutture e leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, ha presentato al Senato il disegno di legge che impedisce ai condannati in via definitiva di potersi candidare

Lo scrive direttamente sul suo blog Internet: "Abbiamo ripresentato al Senato il disegno di legge che stiamo portando avanti da tempo. Un impegno che avevo preso in campagna elettorale. La proposta dell’Italia dei Valori che impedisce, a chi è condannato con sentenza passata in giudicato, di candidarsi e sedere tra i banchi del Parlamento..."


"... Siamo alle prime battute di un provvedimento che non è assolutamente ben visto sia dalle forze di opposizione che da quelle di maggioranza... Tutt’ora nelle aule di Senato e Camera siede una folta rappresentanza di condannati con sentenza definitiva per vari reati, mentre ai cittadini chiediamo il rispetto della legalità e continuiamo a professare che la legge deve essere eguale per tutti."

Presentato il ddl, Di Pietro chiede che l'iniziativa venga sostenuta anche dai cittadini: "Ho bisogno del vostro aiuto: inondiamo di fax e di email la Camera dei Deputati e il Senato, chiedendo che quella legge sia discussa. Approvata o meno, almeno la si voti. Quello che potevo fare, l'ho fatto".


Intanto la commissione Antimafia ha approvato il codice di autoregolamentazione secondo il quale i partiti si impegnano a non inserire nelle liste candidati che abbiano riportato condanne. Un segnale che va nella giusta direzione. Peccato però che la sottoscrizione di tale codice non sia obbligatoria.

L'elenco dei parlamentari condannati in via definitiva


La lista comprende 25 condannati definitivi (compresi quelli che hanno patteggiato la pena), di cui 21 di centrodestra e 4 di centrosinistra.


Alleanza Nazionale

Marcello De Angelis: banda armata e associazione sovversiva
Domenico Nania: lesioni volontarie personali

Dc per le autonomie

Paolo Cirino Pomicino: corruzione e finanziamento illecito

Democratici di Sinistra

Enzo Carra: false dichiarazioni
Vincenzo Visco: abuso edilizio


Forza Italia

Massimo Maria Berruti: favoreggiamento
Alfredo Biondi: evasione fiscale (reato poi depenalizzato)
Giampiero Cantoni: corruzione e bancarotta fraudolenta
Marcello Dell'Utri: false fatture, falso in bilancio e frode fiscale
Lino Jannuzzi: diffamazione aggravata
Giorgio La Malfa: finanziamento illecito
Giovanni Mauro: diffamazione aggravata
Antonio del Pennino: finanziamento illecito
Cesare Previti : corruzione giudiziaria
Egidio Sterpa: corruzione giudiziaria
Antonio Tomassini: falso in atto pubblico
Alfredo Vito: corruzione

Lega Nord

Mario Borghezio: incendio aggravato.
Umberto Bossi: finanziamento illecito e istigazione a delinquere
Roberto Maroni: resistenza a pubblico ufficiale

Nuovo Psi

Gianni de Michelis: corruzione e finanziamento illecito

Rifondazione Comunista

Daniele Farina: fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e inosservanza degli ordini delle autorità

Udc

Vito Bonsignore: corruzione
Aldo Patriciello: finanziamento illecito


Rosa nel Pugno

Sergio D'Elia: banda armata e concorso in omicidio

mercoledì 4 aprile 2007

Nasce il Comitato laico in difesa della famiglia



Per iniziativa di un gruppo di intellettuali, cattolici, ebrei, musulmani, ma anche non credenti, dalle appartenenze politiche e culturali più varie nasce il Comitato per la difesa laica della famiglia. Giuristi, economisti, rappresentanti della società civile, ma anche storici, giornalisti, sociologi, tutti sono concordi nel difendere la famiglia dagli attacchi ripetuti e molteplici che ne stanno minando le fondamenta, consapevoli che la difesa dell’istituzione familiare, intesa in senso tradizionale, significa difendere la cultura e i valori su cui si è fondata e sviluppata la nostra società occidentale. L'Occidentale pubblica il testo dell'appello pro family. Per aderire, basta scrivere un commento.


Il testo dell'appello


Che paese sarà l’Italia fra trent’anni? Troppi ritengono che questa domanda riguardi soltanto i cattolici. Ma non è così. Essa riguarda tutti. Riguarda tutti il deteriorarsi evidente della società italiana, così come gli esempi sempre più frequenti della nostra clamorosa debolezza nel formare le nuove generazioni. E proprio a nessuno è dato ignorare i drammatici segni di collasso sociale provenienti dai paesi più “civili” del nostro, che in tanti casi ci vengono additati ad esempio di progresso e libertà. A rigore, queste situazioni riguardano proprio coloro che si dichiarano laici e liberali. Poiché se una società libera non riesce a formare nuovi individui in grado di gestire responsabilmente la libertà, il suo livello di autoritarismo sarà fatalmente destinato a crescere.

L’Italia di oggi è figlia dell’Italia degli ultimi quarant’anni: l’Italia del miracolo economico e della modernizzazione tumultuosa; del benessere e del consumismo; della secolarizzazione che, tra l'altro, ha portato con sé il divorzio e l’aborto. Non intendiamo oggi rinnegare quella trasformazione, che ha fatto crescere la libertà personale più di quanto non sia – forse – mai accaduto nella storia del nostro Paese. Dobbiamo però smettere di far finta di non aver pagato nessun prezzo, e, laicamente, aggiornare le nostre convinzioni alle esigenze della nostra epoca. Dobbiamo chiederci se la società italiana non sia già oggi diventata del tutto incapace di educare alla libertà i suoi nuovi cittadini. E, per questo, se un colpo ulteriore a quel poco di struttura sociale che ci è rimasto non significhi mettere in pericolo proprio quella libertà individuale che, nelle intenzioni, si vorrebbe ancor più accrescere.

La famiglia della tradizione occidentale ha rappresentato una prima cellula di organizzazione sociale la cui nascita ha preceduto, e di gran lunga, l’affermazione dello Stato moderno. La sua disciplina e la sua tutela si sono storicamente evolute. Ma sempre essa ha mirato a soddisfare due esigenze imprescindibili: assicurare una procreazione socialmente ordinata, indispensabile per la formazione delle nuove generazioni e per la stessa sopravvivenza dell’umanità; tutelare i soggetti meno protetti, come i figli e il coniuge più debole.

Oggi questa storia e quest’evoluzione sono messe in forse da due fenomeni diversi, ma convergenti nei loro effetti. Da un lato il diffondersi di modelli familiari provenienti da altre culture, nelle quali la dignità della persona non è altrettanto tutelata (l’esempio della condizione della donna nei rapporti poligamici risulta, in tal senso, emblematica); dall’altro la tendenza ideologica, sempre più diffusa, a relativizzare il senso delle conquiste di libertà e civiltà fin qui conseguite, e a completare l’opera di destrutturazione del quadro sociale che le ha rese possibili. Tendenza che proviene dal seno stesso della nostra cultura.

La dignità della persona è così messa in pericolo da nuovi e incalzanti fattori di crisi che hanno per teatro l’intero Occidente: la pressione problematica dei processi d’integrazione; il calo demografico e il conseguente invecchiamento delle nostre società; la preoccupante emersione di fenomeni di contro-modernizzazione. Per contrastare questi fenomeni occorrono la mobilitazione e il risveglio di tutto il nostro patrimonio culturale e del meglio della nostra tradizione. Di quel patrimonio e di quella tradizione, invece, indebolendo la famiglia e i suoi istituti scegliamo di oscurare le fondamenta. Tutto ciò ancor più che sbagliato ci appare delittuoso.

In questo contesto, la legittima ricerca di nuove e più ampie libertà personali, anche nel campo della sessualità, può e deve avvenire allargando la sfera dei diritti individuali. Non è stata però questa la via prescelta dal progetto di legge fin qui denominato “Dico”, concepito in larga misura all’interno di una logica statalistica: una soluzione pasticciata e ibrida, tale da generare un surrogato di famiglia che sul versante delle coppie omosessuali non trova giustificazione, e che su quello delle coppie eterosessuali fa concorrenza alla famiglia fondata sul matrimonio anche soltanto civile, indebolendo piuttosto che rafforzando il contesto sociale nel quale si formano i nuovi individui.

La sopravvivenza della famiglia, dunque, non può riguardare solo i cattolici. Essa spetta a tutti quanti siano consapevoli del contributo che essa ha dato all’allargamento della libertà individuale e alla dignità della persona umana, e di quanto queste conquiste, nel nuovo secolo, appaiano precarie e in pericolo. Noi, credenti e non credenti, riteniamo perciò necessario mobilitarci insieme a difesa della famiglia, di ciò che essa ha rappresentato e continua a rappresentare nonostante le crescenti difficoltà e le inevitabili contraddizioni. Siamo certi che vi siano strade attraverso le quali la libertà della persona possa affermarsi senza negare o contraddire quanto edificato dalle generazioni passate. Siamo altrettanto certi, però, che quelle strade non passino per i “Dico”.

Per queste ragioni ci costituiamo in “comitato per la difesa laica della famiglia” e, per questo, contro i Dico; impegnandoci ad assumere tutte le iniziative utili a evitare che una controversia civile si risolva in un insensato conflitto tra laici e cattolici.

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