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martedì 25 settembre 2007

"L’Europa fermi il sistema coop"


Intervista esclusiva a Bernardo Caprotti che presenta il suo dossier-denuncia sull'intreccio di potere fra Legacoop e politica.

Milano, 22 settembre 2007 - La concorrenza, per Bernardo Caprotti è un valore irrinunciabile. In particolare nella grande distribuzione, anello di congiunzione fra i consumatori e il mondo della produzione. E’ proprio sul concetto di concorrenza che il patron di Esselunga ha introdotto cinquant’anni fa, insieme a Nelson Rockefeller, i supermercati in Italia, abbattendo i prezzi degli alimentari anche del 20 o del 30% ovunque comparisse la sua grande esse. «Ma ci sono alcune zone d'Italia — accusa Caprotti in questa intervista esclusiva, la prima concessa a un quotidiano, la terza in tutta la sua vita — dov’è difficilissimo esercitare la concorrenza, semplicemente perché non ti permettono di entrare. In questi territori i prezzi sono molto più elevati che altrove, grazie a un monopolio esclusivo e inespugnabile».

Sono le zone a dominanza Coop. Nel suo libro «Falce e carrello», l’imprenditore brianzolo, 82 anni, denuncia le gravi distorsioni esistenti in Italia a favore delle cooperative, di cui è stato vittima e testimone nei passati decenni. Distorsioni talmente vistose da portare la Commissione Europea a promuovere accertamenti ufficiali e a chiedrgli una sua testimonianza.

Che cosa le ha detto Neelie Kroes, la commissaria europea alla Concorrenza?

«Era molto interessata. Con oltre 50 miliardi di euro di fatturato, il 3% del Pil, il gruppo Legacoop è la terza impresa italiana, dopo Eni e Fiat. Domina un quarte del mercato della grande distribuzione. Dà lavoro a oltre 400mila persone. E’ presente in Borsa con alcune società, fra cui Unipol. Insomma, non sono certo dei poveracci. Eppure godono di vantaggi fiscali inauditi: basti pensare che l’imposta sugli utili societari (Ires), incide sull’utile lordo delle Coop solo per il 17%, contro un’incidenza del 43% sull'utile lordo di una società non cooperativa come l’Esselunga. Una differenza di 26 punti percentuali. E’ proprio questo divario ingiustificato che ha fatto rizzare le orecchie alla Commissione Europea».

Lei crede che ci sarà una procedura d'infrazione?
«Mi sembra plausibile. La Commissione ha già inviato a Palazzo Chigi una lettera dove si chiede conto del regime agevolato di cui godono le nove maggiori cooperative. La contestazione principale riguarda proprio il fatto che, a differenza di altre imprese, le Coop non pagano le tasse su buona parte degli utili. A Bruxelles sospettano che anche la nuova normativa configuri un aiuto di Stato, vietato dai trattati europei. La richiesta non rappresenta ancora l’apertura di un’inchiesta formale, ma è il passo preliminare per permettere alla signora Kroes di decidere se farla partire».

Da dove deriva questo trattamento di favore per le Coop?

«Gli intrecci fra gli affari e la politica cui ho assistito in tutti questi anni sono talmente estesi, che non potrebbe essere altrimenti. Giuliano Poletti, presidente di Legacoop, è stato segretario del Pci a Imola. Turiddo Campaini, presidente di Unicoop Firenze, era consigliere comunale dei Ds a Empoli. Pierluigi Stefanini, oggi presidente di Unipol, è stato segretario del Pci bolognese, presidente di Legacoop a Bologna, oltre che membro del comitato scientifico di Nomisma, il centro di studi economici fondato a Bologna nell’81 da Romano Prodi. Ma questi sono solo pochi esempi. Se ne potrebbero fare a decine. Decine di personaggi che si sono messi regolarmente di traverso, sostenuti dagli enti locali, tutte le volte che ho cercato di aprire dei supermercati nelle ‘loro’ zone. Con grande efficacia».

In pratica, un sistema impenetrabile. Ma allora, perché non ha mollato?

«Sono molto testardo. Hanno tentato in tutti i modi di farmi vendere, ma non ci sono riusciti. Aldo Soldi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative consumatori (Ancc-Coop), si è fatto interprete più volte di questa aspirazione. Non per profitto, per carità! Solo per difendere il sistema produttivo italiano, specie quello agroalimentare, dal pericolo di una vendita di Esselunga a un acquirente straniero: un supermercato straniero, sosteneva Soldi, tenderà a vendere prodotti stranieri. Assunto completamente smentito dai fatti. Basta fare un sondaggio, per scoprire che i prodotti alimentari stranieri hanno la stessa incidenza sugli scaffali di tutta la grande distribuzione italiana, da Carrefour a GS, da Auchan a Esselunga. Stranieri o italiani non fa differenza. Soldi è arrivato a dire che le Coop si sentivano in ‘diritto-dovere’ di comprare Esselunga, per difendere le piccole imprese alimentari italiane! Ma questa campagna in piena regola è stata talmente insistente che alla fine hanno ottenuto l’effetto contrario».

Quando?
«Credo che il colpo definitivo l’abbia dato proprio Romano Prodi, nel febbraio 2006. Di fronte all’incalzare delle Coop e all’età che avanza qualche interrogativo me l’ero posto, nell’estate del 2005. Ma Prodi, durante una puntata di Porta a porta è andato oltre i limiti, enunciando in campagna elettorale l’obbligo per il governo di ‘mettere insieme’ Coop ed Esselunga. In qualche modo: quale, non si sa. Ha detto proprio così. ‘Abbiamo le Coop, c’è ancora l'Esselunga’. E ha continuato: il governo ‘le può mettere assieme, può aiutarle a fare una politica perché stiano assieme’. Non credevo alle mie orecchie. Grazie a Prodi, sono ancora qui. E ho tutta l’intenzione di restarci».

Allora non è vero che vuole vendere a Tesco?

«Non ci penso nemmeno. Potrei vendere soltanto a un acquirente coerente con la filosofia dell’Esselunga. E Tesco non sarebbe coerente, ha un approccio completamente diverso, quasi da discount».

C’è qualcuno a cui venderebbe volentieri?

«I supermercati americani Wegmans mi piacciono molto e anche gli inglesi di Waitrose, ma non ho mai avuto contatti con loro. Vendere non è obbligatorio».

Ma se ne parla. Lei ha una certa età e suo figlio Giuseppe è uscito dall’azienda nel 2004, dopo un tentativo fallito. Le figlie Violetta e Marina, a loro volta, non sembrano interessate. E quindi?
«C’è l’ipotesi della quotazione, seriamente considerata ma mai studiata a fondo. Potrebbe essere un’opzione, per avere la liquidità necessaria ad espanderci e una platea di soci. Forse saremmo più forti, anche politicamente. Sarebbe ora...»

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