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martedì 6 gennaio 2009

Interessi della guerra tra Israele e Palestina


Basta, fermatevi: Papa Benedetto XVI ha implorato Israele ed Hamas di porre "immediata fine" al "tragico" conflitto nella Striscia di Gaza, ed ha chiesto "giustizia e pace" per la Terra Santa. Mi dispiace per il Santo Padre e per la pace ma a volte delle persone preferiscono il conflitto. In Israele serve un conflitto. Non vorrei entrare in merito delle ragioni dell'uno e dell'altro, dato che se ne parla e riparla, ma comprendere gli interessi di una guerra permanente.
Non tutto ciò che si vede è in effetti quello che si vede. Questo assunto, valido in molte circostanze della vita, è più che mai attuale nella crisi tra Hamas e Israele. Dietro la guerra, perché di vera e propria guerra trattasi, tra il movimento islamico e Gerusalemme ci sono ben altri interessi politici di quelli dichiarati, ma soprattutto è una guerra che mette a confronto indirettamente due potenze regionali: l'Iran e Israele.
no gli interessi internazionali a pesare maggiormente su quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Innanzi tutto c'è il confronto a distanza tra Israele e Iran, con quest'ultima che negli ultimi mesi ha cercato in tutti i modi di infiltrarsi all'interno di Hamas riuscendoci solo in parte per l'opposizione trovata proprio a Gaza dove Mahmud Zahar, un nome poco famoso ai più ma certamente l'uomo più potente all'interno della Striscia, si è sempre opposto ad una alleanza strategica con gli sciiti. A dire il vero anche il capo dell'Ufficio Politico di Hamas, Khaled Meshal, non ha mai visto di buon occhio l'aiuto offerto dai Mullah, ma è sempre stato possibilista almeno per una alleanza temporanea. Diverso invece il discorso per la parte più estremista del Movimento Islamico, quella che per intenderci forma una piccola galassia di groppuscoli che fanno capo alle Brigate Ezzedin al Qassam, la parte militare di Hamas, da sempre convinti che ogni mezzo è buono per raggiungere l'obbiettivo finale, cioè la distruzione di Israele, anche una alleanza con gli sciiti.

Se questa alleanza non si è - almeno per il momento - concretizzata, lo si deve probabilmente all'intervento dello sceicco saudita Safar al Hawali, eminente ideologo di al-Qaeda e amico personale di Osama Bin Laden, il quale, per non consegnare Hamas ai Mullah, da diversi mesi si sta dando un gran da fare per raccogliere fondi e armi per Hamas in tutti i Paesi arabi anche se con risultati non eclatanti. Perché dico “almeno per il momento”? Perché l'attacco israeliano e gli scarsi risultati ottenuti dalla campagna pro-Hamas di Safar al Hawali hanno improvvisamente spostato l'ago della bilancia verso l'Iran, certamente in possesso di maggiori mezzi per far arrivare denaro ma soprattutto armi ad Hamas. C'è poi da considerare che Teheran è già presente, con gli Hezbollah libanesi, ai confini con Israele e non aspettava che il momento buono per portare anche Hamas dalla sua parte.

Quello che a Gerusalemme non è stato purtroppo capito è che con un attacco di tale portata contro la Striscia di Gaza, paradossalmente si rischia di rafforzare pericolosamente proprio il nemico più pericoloso, l'Iran, la quale da molto tempo cercava di chiudere il cerchio di ferro attorno allo Stato ebraico. Israele ha quindi di fatto indebolito il fronte moderato dei Paesi arabi - Egitto in prima fila – e rafforzato il già crescente potere dei Mullah nella regione mediorientale. Un incubo proprio per i Paesi arabi.

Ecco perché Gerusalemme rifiuta qualsiasi ipotesi di tregua, arrivati a questo punto Israele non può fare altro che continuare le operazioni nella Striscia di Gaza, se si fermasse ora senza aver distrutto Hamas il danno politico e strategico sarebbe immenso. Quasi certamente tutto questo è stato previsto e pianificato da mesi (come lo stesso Olmert ha confermato) proprio in configurazione anti-iraniana, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, che in questo caso è un mare di sangue innocente, un mare di sangue che sta facendo mobilitare le masse arabe persino contro i loro stessi Governi, accusati di immobilità e addirittura di tradimento della causa araba, e rende Israele invisa alle popolazioni occidentali che hanno di fronte agli occhi il terribile scempio di Gaza e i tanti morti innocenti.

Un fatto è certo, la guerra tra Hamas e Israele ha motivazioni molto più grandi di quelle dichiarate da Gerusalemme, motivazioni che come sempre prevedono il sacrificio di innumerevoli vite palestinesi, storicamente considerati carne da macello per gli interessi di tutti, arabi, israeliani e adesso iraniani.

Il Prof. Ismael Hossein-Zadeh, riporta nel suo articolo in calce, Behind the Plan to Bomb Iran, 'Dietro i piani del bombardamento in Libano', la seguente considerazione:
'Le linee guida dietro ai piani di guerra dei 'neocons' americani non devono essere cercate nel grande discorso della difesa della democrazia o degli interessi nazionali ma negli interessi particolari e nefandi, camuffati attentamente dietro la denominazione di interessi nazionali. Questi interessi speciali sono affari lucrosi e dividendi stratosferici provenienti dalla guerra e dal militarismo. Essi includono sia gli interessi economici (famosi come alleanza militare-industriale) sia gli interessi geopolitici (associati fortemente ai gruppi Sionisti che programmano il "Grande Israele" nel Medio Oriente, o lobby israeliane).
…Come i potenti beneficiari dei dividendi di guerra vedono la pace e la stabilità internazionale ostile ai propri affari ed interessi, così anche gli estremisti Sionisti proponenti la linea-dura del "Grande Israele" percepiscono la pace tra Israele ed i suoi vicini arabi pericolosissima per il controllo della "Terra promessa di Israele." La ragione di questa paura della pace è che, secondo un numero notevole di risoluzioni ONU, per pace si intenderebbe il ritorno di Israele ai confini pre-1967; ovvero, il loro allontanamento dalla West Bank e dalla striscia di Gaza.
Le strategie remote dell'alleanza USA-Israele, che da tempo, sin dall'11 settembre 2001, sta pianificando un progetto per un 'proprio Medio Oriente', come affermato da Condoleza Rice nel suo recente viaggio in Europa.


Proprio ieri, 5 gennaio, giunge notizia che gli Stati Uniti avrebbero intenzione di ostacolare qualsiasi iniziativa araba tesa a far assumere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite un ruolo nella crisi di Gaza. Lo hanno rivelato fonti dell'Onu, citate al quotidiano israeliano "Haaretz", secondo cui l'ambasciatore americano al Palazzo di Vetro, Zalmay Khalilzad, avrebbe ricevuto esplicite istruzioni dai suoi superiori al dipartimento di Stato per fare in modo che non passi la proposta del blocco arabo di assegnare al Consiglio di Sicurezza un ruolo di arbirto ufficiale della crisi. Queste rivelazioni arrivano mentre i ministri degli Esteri di alcuni Paesi arabi sono impegnati negli ultimi negoziati per mettere a punto una risoluzione per il cessate il fuoco, che vorrebbero portare al voto domani.

L'ONU è sempre meno credibile e queste affermazioni sottolineano l'incompatibilità del suo obiettivo di sempre: "La PACE". La pace si ottiene non si ottiene con la guerra, a volte è necessaria si, ma se si rifiuta il dialogo, specialmente con i paesi arabi, non ci sarà mai un segnale positivo. Questo lo sa bene sia l'ONU che gli americani che gli arabi. Se la proposta fatta dagli arabi era troppo unilaterale e negava i diritti di Israele, si faceva un compromesso, non la si rifiutava di punto e in bianco. Evidentemente la pace non serve subito. Si deve ottenere qualcosa e poi l'arrestarsi dell'avanzata di Israele potrebbe interpretarsi come una resa. Le trattative vanno avanti...ma i morti pure. Vale più la vita di una sola persona o del tempo per approfondimenti, tempo per far crescere il prezzo del petrolio e per la vendita di armi?
Prepariamoci ad assistere al peggioramento della situazione e, soprattutto, a vedere scorrere un mare di sangue innocente, israeliano e palestinese.

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