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giovedì 8 novembre 2007

Sicurezza, le bugie della sinistra sulla Bossi-Fini

di Alfredo Mantovano

Di fronte al tragico fallimento della politica per la sicurezza del Governo Prodi da Sinistra c’è perfino chi ha la sfrontatezza di dire che è “colpa” della legge Fini-Bossi e che è “colpa” del Governo Berlusconi, che non ha provveduto alla moratoria sulla libera circolazione delle persone provenienti dalla Romania.

Inferior stabat agnus… verrebbe da dire. Forse è il caso di ricordare che la legge migliore dà i risultati peggiori se la sua applicazione viene sabotata da chi ha il dovere di rispettarla e se l’azione di Governo si muove nella direzione opposta a quanto è previsto dalla legge.

Da quando Prodi governa e Amato è ministro dell’Interno, costoro:

1. Hanno chiuso tre Cpt per l’identificazione dei clandestini (a Ragusa, a Brindisi e a Crotone). Questo vuol dire che sono state ristrette drasticamente le espulsioni effettive: se si riducono i luoghi nei quali è possibile l’individuazione al fine della restituzione nel paese di origine, i clandestini restano in Italia e si consolida la convinzione che non è possibile procedere alle espulsioni (quindi, ne arrivano altri);

2. Hanno ampliato i ricongiungimenti, andando molto oltre il nucleo familiare e precludendosi la certezza dell’identità; a parte coniuge e figli, come si fa a stabilire che vi è un rapporto di parentela quando si ha a che fare con Stati nei quali non esiste neanche l’anagrafe?

3. Hanno eliminato il visto d’ingresso per i soggiorni brevi, sostituendolo con una semplice autocertificazione. Dunque, non si sa con sicurezza chi è colui che viene per il periodo di tre mesi, ma si sa con certezza che resterà in Italia dopo i 90 giorni senza alcuna conseguenza;

4. Hanno usato il decreto flussi 2006 come sanatoria fittizia per i clandestini che già c’erano, piuttosto che come strumento per far arrivare i regolari dai Paesi di origine;

5. Hanno adottato norme per l’asilo che sono lo strumento per far entrare chiunque;

6. Non hanno varato la moratoria sulla libera circolazione di persone dalla Romania;

7. Non applicano la direttiva UE n. 38/2004 sulla espulsione dei comunitari che non hanno un reddito lecito.

E’ disonesto dire che tutto questo deriva dalla Fini-Bossi. E’ altrettanto disonesto dire che molto sarà risolto dal decreto legge varato dal Consiglio dei ministri due giorni fa. In realtà, quel decreto è poco più che nulla: si limita a spostare i fascicoli delle espulsioni dal tavolo del ministro dell’Interno al tavolo dei prefetti.

In Parlamento sarà necessario presentare emendamenti al decreto medesimo, tesi a eliminare le disposizioni lassiste appena elencate, introdotte arbitrariamente in contrasto con le direttive UE (pur col pretesto di darne attuazione). In quel momento si vedrà chi fa lo sciacallo!

giovedì 1 novembre 2007

Salviamo Internet e i blog: firmiamo la petizione contro la legge Levi-Prodi e Obbligo Iscrizione Al ROC

La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.

la petizione ( http://firmiamo.it/salviamointernet#sign ) vuole fermare questo controllo di internet da parte del governo italiano! Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo.



Ecco gli interventi più importanti a difesa di Internet:

Valentino Spataro di Civile.it che per primo ha scoperto il disegno di legge di Agosto:
http://www.civile.it/news/visual.php?num=45712

L'intervento di Beppe Grillo:
http://www.beppegrillo.it/2007/10/la_legge_levipr.html

Punto Informatico:
http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2092327

Master New Media:
http://www.masternewmedia.org/it/2007/10/19/editoria_online_ddl_leviprodi_introduce.htm

Repubblica
http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/scienza_e_tecnologia/testo-editoria/testo-editoria/testo-editoria.html


Il Disegno Di Legge
http://www.governo.it/Presidenza/DIE/doc/DDL_editoria_030807.pdf



Il Disegno di Legge Ferragostano

Il disegno di legge sull'editoria presentato il 3 agosto 2007 dal Governo, bravi, propone di qualificare ogni sito o blog come prodotto editoriale.

Capo I Il prodotto e l’attività editoriale


Art. 2 (Definizione del prodotto editoriale)

1. Per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso.

2. Non costituiscono prodotti editoriali quelli destinati alla sola informazione aziendale, sia ad uso interno sia presso il pubblico.

3. La disciplina della presente legge non si applica ai prodotti discografici e audiovisivi.


Praticamente ne restano fuori dischi, film, youtube e i cataloghi per le vendite.

Vediamo come viene qualificato chi realizza prodotti editoriali:

Art. 5 (Esercizio dell’attività editoriale)


1. Per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta pubblicitaria. L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative

Anche senza scopo di lucro.

Bloggers, ci siete? Grillo, ci sei? Tutti.

Vorrei dire: basterebbe andare anche ogni giorno in piazza Duomo a parlare al pubblico e si diventa prodotto editoriale.

Prima prodotti editoriali erano "cose" destinate al lucro, realizzate da editori, da imprenditori (anche persone fisiche) che andando in Prefettura chiedevano l'iscrizione nel registro degli editori, conformemente al codice attività che risulta alla Camera di Commercio e legato alla partita iva.

Insomma: oggi si deve volere essere editori, non lo si e' per il semplice fatto che si scrive un ebook.

Ora che tutti diventiamo editori ... mi scappa da ridere ... si applicano tutti gli adempimenti dei quotidiani cartacei ...

Art. 7 (Attività editoriale su internet)


1. L’iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione dei soggetti che svolgono attività editoriale su internet rileva anche ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa.

2. Per le attività editoriali svolte su internet dai soggetti pubblici si considera responsabile colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle informazioni.

Non si poteva trovare un termine piu' generico e impreciso per applicare una intera normativa, quella della stampa, a chi scrive sul web, a qualsiasi titolo.


In effetti si applica il Roc, non la normativa sulla stampa. Il Roc, registro operatori della comunicazione, sostituisce i vecchi registri dei periodici presso i Tribunali.

Cresce l'aborto "fai da te" e il Papa replica

Mentre Benedetto XVI lancia il suo affondo sui temi etici e invita i farmacisti cattolici a fare appello all'obiezione di coscienza laddove si va contro la vita in modo diretto, come nel prescrivere farmaci abortivi, l'interruzione di gravidenza torna a fare notizia e a far parlare di sé. E anche gli stessi che lo considerano un diritto consolidato iniziano a preoccuparsi dell’aumento del numero delle interruzioni di gravidanza.

Qualche giorno fa in Gran Bretagna Lord Steel, il padre della legge introdotta quarant’anni fa per legalizzare le interruzioni di gravidanza, ha dichiarato che gli aborti nel suo paese sono diventati troppi: più di duecentomila - considerando anche le donne irlandesi che vanno ad abortire in Inghilterra - rispetto ai 55.000 del 1967, quando la legge entrò in vigore.

In Gran Bretagna si vorrebbe renderlo ancora più accessibile nei primi tre mesi di gravidanza, eliminando il certificato congiunto di due medici, e consentendo di effettuarlo anche alle infermiere. Un ruolo importante nella liberalizzazione lo avrebbe la pillola abortiva, la Ru486, che dovrebbe diventare la forma più semplice di aborto fai-da-te (DIY, Do It Yourself).

Con la “horror pill” – come l’ha definita India Knight su The Sunday Times il 17 ottobre scorso - si vorrebbe infatti permettere in Gran Bretagna, come accade già in Francia, l’aborto a domicilio: la brutale verità dell’aborto fai da te, l’eloquente titolo del pezzo della Knight, nel quale l’editorialista - non certo di area pro-life - descrive la brutalità dell’aborto chimico casalingo. La donna, dopo aver preso dal medico la prima delle due pillole abortive, la Ru486, che fa morire l’embrione in pancia, se ne torna a casa e ingoia la seconda: si chiude in bagno e fra i crampi e perdite di sangue espelle l’embrione morto e tira lo sciacquone. La Knight lo definisce un “atto di estrema brutalità verso le donne. […] E la mattina ci si aspetta che lei si alzi come se niente fosse successo, e continui la sua vita, senza dare neanche un’occhiata alla tazza del bagno”.

“Vai a bere con un gruppo di amiche e parla di bambini, ce n’è sempre una o due che farfuglia qualcosa tipo: “Ne avrei uno di venti anni, adesso”, oppure “Non significava assolutamente niente per me allora, ma adesso…."

Dall’altra parte del mondo, allarme nazionale: sul China Daily, quotidiano governativo cinese, viene espressa preoccupazione per i dieci milioni di aborti registrati nell’ultimo anno. Molte le donne che abortiscono ripetutamente, specie fra le più giovani “che affrontano la tematica dell’aborto come se dovessero trattare un raffreddore”.

In entrambi i casi si imputa l’eccessivo ricorso all’aborto alla mancanza di informazione e di contraccezione.

Effettivamente in Cina l’aborto è considerato un metodo contraccettivo, come è sempre successo, d’altra parte, in tutte le dittature comuniste: è bene ricordare che fu Lenin nel 1920 a legalizzare per primo l’aborto, nel mondo, e che le statistiche delle organizzazioni internazionali hanno sempre registrato la ex- Unione Sovietica e i paesi satelliti come quelli a maggiore abortività.

Nel rapporto ONU “Monitoraggio della popolazione mondiale 2002 – diritti riproduttivi e salute riproduttiva”, i primi 18 posti nella classifica mondiale della percentuale di aborti spettano a regimi ex- o ancora comunisti: dal 65% della federazione russa, al 53% della Romania, al 41% dell’Ungheria fino al 27% della Slovacchia.

Il rapporto sottolinea la presenza di una “cultura abortiva” in questi paesi, in cui l’aborto è tuttora ritenuto più sicuro di tanti altri metodi contraccettivi. Le percentuali riportate sono inferiori a quelle registrate precedentemente alla caduta dell’impero sovietico, ma restano pur sempre fra le più elevate al mondo, nonostante la contraccezione moderna sia sempre più utilizzata.

In Gran Bretagna, invece, la diffusione della contraccezione è da sempre elevata, e dal 1990 è disponibile la pillola del giorno dopo, che aveva raggiunto 800.000 prescrizioni l’anno fino a che, dal 2001, si può acquistare senza ricetta medica. Dal 2002 il Ministero della Sanità ha deciso di distribuire pillole e contraccettivi nelle scuole: riesce difficile pensare che manchi un’adeguata informazione, soprattutto fra i giovani.

D’altra parte Cina e Gran Bretagna, pur con storie e culture diversissime e con una condizione femminile agli antipodi, non possono certo dirsi subire l’influenza della morale cattolica, da sempre contraria alle pratiche contraccettive: per entrambe i paesi non si possono invocare le solite ingerenze vaticane che limiterebbero l’uso di mezzi di controllo delle nascite.

L’uso della contraccezione non sembra far diminuire drasticamente, sempre e comunque il numero degli aborti, o quantomeno non argina il fenomeno. E laddove è stato usato l’aborto come metodo di pianificazione familiare, il successivo diffondersi della contraccezione ne diminuisce il numero, ma non di molto.

Nei paesi occidentali una volta vinta la battaglia per l’approvazione delle leggi di regolamentazione dell’aborto, i vari gruppi di pressione, il dibattito pubblico e la politica non si sono più occupati della questione, lasciando che, col tempo, l’aborto si trasformasse da “extrema ratio” nella vita di una donna, a un evento tutto sommato possibile, che si continua a definire drammatico ma che sempre meno viene preso in carico dalla collettività. Abortire viene considerata la soluzione di un problema personale di una donna, che spesso in nome della libera scelta viene lasciata sola davanti ad un’unica possibilità – quella di interrompere la gravidanza, appunto.

Negli ambienti pro-life da sempre si è sostenuto che l’introduzione delle leggi di regolamentazione dell’aborto, se non molto restrittive, avrebbero contribuito a creare una cultura favorevole alle interruzioni di gravidanza. Si è dimostrata falsa l’idea secondo la quale facendo venire alla luce un fenomeno tenuto in clandestinità, gli aborti sarebbero diminuiti perché controllati e regolamentati.

La questione non è meramente medica, non riguarda la quantità di mezzi contraccettivi a disposizione e la loro diffusione: è evidente che il problema è più profondo, e coinvolge un atteggiamento di fronte alle relazioni affettive, una consapevolezza delle proprie azioni, un’educazione alla responsabilità personale, la comprensione del valore e del significato della maternità. Argomenti che attraversano gli schieramenti pro-choice e pro-life, e che meriterebbero di essere affrontati al di là di quei pregiudizi ideologici che per decenni hanno bloccato qualsiasi riflessione pubblica comune sul tema.

di Assuntina Morresi

Il triste spettacolo di un governo in fuga da se stesso

Quando Prodi e il suo governo hanno preso il timone del paese sapevamo che non ci sarebbero piaciuti. Conoscevamo in anticipo il sapore della zuppa che ci avrebbero somministrato: tasse, prediche anti-evasione, una politica estera irenista e codina, un po’ di zapaterismo de’ noantri, sindacalismo a iosa e una buona dose di revanchismo anti-berlusconiano come condimento.

Quello che non potevamo aspettarci a un anno e mezzo dalle elezioni è invece il completo stato confusionale del governo e delle forze che lo sostengono, la sensazione di una compagine allo sbando, arresa al peggio e senza alcuna capacità di recupero.

Non c’è traccia, a solo un anno e mezzo da quella mezza vittoria, di quel minimio di affidabilità, di “saper fare”, di senso delle istituzioni, di cui i vincitori si vantavano ampiamente e che in genere si era disposti a concedergli.

A guardare il campo di battaglia parlamentare di questi giorni, dalla batosta in Commissione di Vigilanza, alle sconfitte a ripetizione nei voti al Senato sulla finanziaria, viene davvero da chiedersi chi ci sia alla guida. Che fine hanno fatto le intelligenze sopraffine di cui il centro-sinistra si considera esclusivista? Dov’è Massimo D’Alema; a che pensa Piero Fassino; cosa medita Giuliano Amato; come si sente Tommaso Padoa Schioppa; che cosa ha in testa Romano Prodi; a che gioco gioca Veltroni? E tutti gli altri cavalli di razza: Bersani, Letta, Rutelli, Parisi, Marini, che dicono, che fanno?

Non ce n’è uno che sembri avere un’idea, che azzardi un colpo di timone, una manovra per salvare il bastimento. Sono tutti già in lotta per accaparrarsi le scialuppe e trovarsi con le mani libere da colpe e responsabilità quando tutto andrà a fondo.


Gli italiani che hanno votato per l’Unione, magari in fuga dall’improvvisazione e dalla poca dimestichezza del centro-destra, oggi non credono ai loro occhi e i 5 anni di Berlusconi trasfigurano nella memoria come un culmine di buon governo. Ho amici di sinistra che sarebbero pronti a rivalutare anche la legge Gasparri, per non parlare di quelle Castelli, Moratti o Maroni.

Quello che più colpisce in questo disastro quasi più umano che politico è l’uomo nuovo, Walter Veltroni. Colui che doveva planare come un’ala salvatrice sulla tempesta e rischiarare la rotta. Invece è lì che cincischia, che non sceglie, sempre incerto tra la via più facile e quella più conveniente. Vuole e disvuole, dissimula: dice di non voler votare con questa legge elettorale ma intanto fa i conti per capire quanti uomini suoi può piazzare con le liste bloccate e quante regioni può recuperare con il premio regionale del Senato. Preferisce perdere senza colpe che tentare una vittoria mettendosi in gioco. La sua totale indecisione fa sì che oggi un autorevole quotidiano gli attribuisca un asse con Bertinotti per il governo istituzionale e un altro – altrettanto autorevole – lo descrive alleato di Prodi per il voto subito.

Intanto la maggioranza perde pezzi, va sotto un voto sì e uno no, sempre in attesa dello scivolone decisivo che travolga tutto. Il dopo-Prodi è già cominciato, e si galleggia in un limbo comatoso e malinconico. Tanto che la spallata dell’opposizione oggi è sembra attesa come il pietoso intervento di chi pone fine all’accanimento terapeutico.

Dicono che Berlusconi aspetti solo il momento giusto per calare il suo poker d’assi e assestare il colpo di grazia al governo. Quel momento sembra arrivato e gli stessi che ieri lo accusavano di bluffare oggi sperano che sia tutto vero.

di Giancarlo Loquenzi

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