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sabato 29 novembre 2008

Interessi occidentali in Congo: dagli americani agli alleati


Che il caso non esiste non è cosa nuova. Certo un caso non è la continua guerra in Congo. Certo non è una tipica e sola guerriglia africana. Analizzando meglio la questione ho scoperto subito qualcosa di interessante e ovvio. Vi è lo zampino dell'America e degli alleati, non è chiaro se pure del nostro Paese, ma sicuramente l'ENI sta facendo affari di rilievo anche in CONGO.
Vediamo di arrivarci, con un bel po di pazienza e attenzione.
Il 23 gennaio 2008, a Democracy Now, Amy Goodman con Maurice Carney e Nita Evele, hanno trattato l'argomento del (Democracy Now! Corporations Reaping Millions as Congo Suffers.)
Qui alcune delle considerazioni che si sono fatte:

1. Dal 2001 al 2003, le Nazioni Unite riferivano dello sfruttamento illegale delle risorse naturali del Congo.
Furono menzionate numerose società americane, comprese la Freeport-McMoRan e la Cabot Corporation.
L'ex direttore della Cabot Corporation è Samuel Bodman, attuale Segretario all'Energia nell'amministrazione Bush.
Il governo congolese ed il popolo congolese non beneficiano della ricchezza che viene estratta da gente come Freeport-McMoRan.
2. Dei primi ministri canadesi hanno collegamenti con l'industria mineraria in Congo. Joe Clark, Brian Mulroney e Jean Chretien hanno profittato del Congo.
3. In Congo, l'80% della popolazione vive con 30 centesimi o meno al giorno.
4. Secondo dei rapporti, il leader congolese Joseph Kabila nell'ottobe del 2007 è stato convocato a Washington dopo avere firmato un affare dal $5 miliardi con la Cina.
Secondo le voci, Joseph Kabila è stato messo al potere dagli USA e dai loro alleati.
Con Joseph Kabila al potere, le multinazionali hanno prosperato. La terra ed i fiumi sono stati venduti alle multinazionali. La gente locale ha subito.
5. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno stabilito regole finanziarie che limitano il governo congolese e che favoriscono le multinazionali.
6. Il Congo nel 1996 è stato invaso dal Ruanda e dall'Uganda, quando installarono al potere Laurent-Désiré Kabila. Fecero questo con l'appoggio degli Stati Uniti.
Quindi, nel 2001, quando Laurent-Desire Kabila non serviva più agli interessi dei ruandesi, degli ugandesi e degli USA, fu assassinato.
I ruandesi e gli ugandesi invasero il Congo nel 1998. 5,4 milioni di congolesi morirono.
Il 9 febbraio 2008, Keith Harmon Snow presentò un articolo (Dissident Voice: Gertler’s Bling Bang Torah Gang) che compone i seguenti punti:
Maurice Templesman è uno dei principali finanziatori di Barack Obama.
Famiglie come Tempelsman, Oppenheimer, Gertler e Steinmetz sono associate in compagnie minerarie in Congo.
Nel 2007 in Congo vi era la lotta tra Jean-Pierre Bemba e Joseph Kabila. Ciascuno voleva essere l'unico a poter fare soldi dagli accordi con le compagnie minerarie.
La maggior parte dei congolesi comuni guadagna meno di un dollaro al giorno e qualsiasi tentativo di sciopero è probabile che venga schiacciato con la violenza.
Secondo un articolo di CorpWatch, 25 eprile 2001, CorpWatch: Africa: U.S. Covert Action Exposed:
Promemoria e cablogrammi declassificati tra ex presidenti e funzionari del Dipartimento di Stato USA degli ultimi quattro decenni menzionano Tempelsman con input diretto alla destabilizzazione di Congo, Sierra Leone, Angola, Zimbabwe, Namibia, Ruanda e Ghana.
I documenti rivelano che si è guadagnato i galloni con le potenze occidentali nel rovesciamento del primo presidente eletto del Ghana, Kwame Nkrumah, e nell'assassinio appoggiato dalla CIA del primo presidente eletto del Congo, Patrice Lumumba.
Fino al 1997, Tempelsman era nominato per l'insabbiamento in corso del sostegno segreto di USA-CIA all'ex presidente dello Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo [DRC]), Mobuto Sese Seko, che morì in esilio nel 1997 dopo il rovesciamento del suo regime dal recentemente assassinato Presidente congolese Laurent Kabila.
Tempelsman viene menzionato come l'agente a capo della svendita dell'eccedenza grezza della riserva strategica di diamanti negli Stati Uniti che è stata utilizzata per finanziare le imprese del defunto dittatore.

Chi si prenderà le ricchezze minerali del Congo, che comprendono di tutto, dal petrolio all'oro?


1. "Il brutale conflitto nel Congo orientale è il risultato di... una zuffa per le ricchezze minerali della regione...
"Cobalto, rame, diamanti, oro, argento, stagno e coltan, l'ingrediente essenziale per i telefoni cellulari, fanno del Congo uno dei paesi dell'Africa più ricchi di minerali".
2. "La compagnia petrolifera francese Total ha dichiarato (28 ottobre 2008) che stava considerando di sfruttare le sabbie bituminose nel... Congo, dove si trova il principale produttore di petrolio e gas...
"In maggio la compagnia petrolifera italiana ENI ha firmato un accordo con il Congo per sfruttare le sabbie bituminose a Tchikatanga and Tchikatanga-Makola nel sud, stimato di contenere riserve tra i 5oo milioni e 2,5 miliardi di barili". (French oil giant mulls exploiting Congo tar sands)
3. "Martedì (28 ottobre 2008) i ribelli congolesi hanno continuato la loro marcia verso la capitale regionale di Goma, scacciando soldati dell'esercito impauriti e decine di migliaia di civili sfollati sulle strade fangose davanti a loro". (Congo rebels push toward key city)
4. "Le radici dell'instabilità del Congo si fanno risalire al genocidio ruandese del 1994, nel quale furono massacrati centinaia di migliaia della minoranza Tutsi. I ribelli Tutsi del Ruanda quindi rovesciarono il governo ruandese dominato dagli Hutu nella conseguente guerra civile, costringendo milioni di Hutu a fuggire in Congo...
"Il Ruanda ha invaso il Congo due volte nel tentativo di sbaragliare gli estremisti Hutu ruandesi, dapprima nella guerra del 1996-97 e di nuovo nella guerra del 1998-2002. Molti hanno comunque accusato il Ruanda di venire sviato all'inseguimento di diamanti. oro ed altri minerali.
"Dal 1994, la guerra civile ed i conflitti tribali in Congo hanno fatto morire circa 4 milioni di persone a causa di combattimenti, carestia e malattie". (Congo's violence tied to 1994 Rwandan genocide)
5. "Secondo documenti francesi declassificati, l'ex presidente francese François Mitterrand appoggiava gli esecutori del genocidio del 1994 in Ruanda nonostante chiari avvertimenti che venivano orchestrate uccisioni di massa della popolazione Tutsi.
"La pubblicazione dei documenti su Le Monde di oggi conferma per la prima volta i sospetti a lungo tenuti contro la Francia. I precedentemente segreti telegrammi diplomatici e promemoria governativi suggeriscono anche che il defunto presidente francese era ossessionato dal pericolo di una influenza "anglo-sassone" che afferrasse il Ruanda". (The Independent)
6. Attorno a Lubumbashi vi è molto rame, coltan e zinco.

Viene trattato da una società a capitale misto tra la compagnia mineraria statale, il George Forrest Group (una conglomerata belga-congolese) e l'American OM Group.
"Nel 2002, una commissione dell'ONU suggerì che 29 società - compreso il George Forrest Group - affrontassero delle sanzioni per le loro operazioni nella DR del Congo.
"Il rapporto della commissione accusava il George Forrest Group di gestire le proprie operazioni minerarie in una maniera che portava fuori dal paese quanti profitti possibile, mentre portava un beneficio minimo alla DR del Congo". (BBC Cache)
Leopoldo II (1835 – 1909) era re del Belgio e primo cugino della regina Vittoria.
Si diceva che Leopoldo II fosse cliente della casa di flagellazione e bordello "Villetta Rossa" di Mary Jeffries a Hampstead, Londra.[1]
(Secondo le voci, la monarchia belga era collegata allo scandalo Dutroux e ad altri scandali - BBC News EUROPE Belgian king wins paedophile rebuttal / Chateau des Amerois - Mother of Darkness Castle )
Leopoldo II è stato il fondatore e unico proprietario delllo Stato Libero del Congo, ora noto come la Repubblica Democratica del Congo.
Un ufficiale bianco descrisse un assalto per punire un villaggio congolese che aveva protestato contro le azioni dei belgi. L'ufficiale bianco al comando "ci ordinò di tagliare la testa agli uomini e di appenderle alle palizzate del villaggio, anche i loro organi sessuali e di appendere le donne ed i bambini alla palizzata nella forma di una croce". (Mass crimes against humanity in the Congo Free State)
Come nota la BBC, i congolesi hanno imparato dai belgi.
"I soldati del Congo non hanno mai abbandonato il ruolo loro assegnato da Leopoldo - come la forza per reprimere, torturare e razziare la popolazione civile inerme". - (BBC NEWS Africa King Leopold's legacy of DR Congo violence)
Secondo Wikipedia, "L'estrazione di gomma ed avorio in Congo dipende dal lavoro forzato ed è risultata nel massacro e nella mutilazione di milioni di congolesi (all'epoca approssimativamente la metà della popolazione).
"Gestiva il Congo come suo feudo personale; per lui era una impresa affaristica...
"Come descrive Adam Hochschild in King Leopold's Ghost, la Francia, la Germania ed il Portogallo furono svelti ad adottare i metodi congolesi in quelle parti delle loro colonie dove si trovava la gomma naturale, imponendo ai nativi una simile perdita di vite". (Leopold II of Belgium - Wikipedia, la libera enciclopedia )

mercoledì 10 settembre 2008

Pansa: "Vi svelo le ipocrisie degli antifascisti"

intervista di Luca Telese
pubblicata su Il Giornale il 10 settembre 2008

Giampaolo Pansa, è divertito. «Mai avrei pensato, in tutta la mia vita, che mi sarei ritrovato a difendere La Russa dagli attacchi dei moderati del Partito democratico! Mai. Su Salò, per giunta... Questa polemica ha qualcosa di antistorico e barbaro che non capisco e non voglio capire. L’antifascismo ringhiante di Veltroni e Franceschini oggi non è credibile. Anche perché, proprio Franceschini tre anni fa... ». Alt! Per ora ci fermiamo qui, e vi lasciamo in sospeso, perché in questa intervista c’è una storia che stupirà molti. Ma siccome il giornalista più famoso d’Italia è un fiume in piena, bisogna prima di tutto spiegare cosa pensa.
Per lui, che ci ha scritto sopra una quadrilogia saggistico-narrativa e un romanzo, la polemica sulla Repubblica sociale esplosa dopo le dichiarazioni del ministro Ignazio La Russa è l’occasione per tirare le fila di un viaggio iniziato con la tesi di laurea, da ragazzo, e proseguito con il lavoro monografico degli ultimi anni. Fino all’ultimo libro, I tre inverni della paura, che lui definisce «un via con il vento nella guerra civile». Pansa ha scritto una saga ambientata più di mezzo secolo fa, ma che oggi, quando gira l’Italia, pare un instant book. Ogni volta che lo presenta vede accorrere folle di lettori: «Cinquecento persone a Parma domenica... Chissà quante ne troverò sabato a Revere, in provincia di Mantova. Per questo pubblico, tra cui molti giovanissimi, è come se parlassi di ieri».
Pansa, perché parla proprio di Franceschini?
«L’ho visto, in televisione indignato contro La Russa, in cattedra sull’antifascismo. E sono rimasto di stucco».
Perché? Non è legittimo?
«Vede, nella Grande Bugia ho raccontato la storia di una ragazza che da bambina girava per le vie di Poggio Renatico, il suo paese, con gli occhi sempre bassi».
Per la vergogna?
«No. Era figlia di un fascista, ma non se ne vergognava. Però le vie erano tappezzate di scritte su suo papà, Giovanni Gardini. Dicevano: "A morte Gardini!"».
E chi era Gardini?
«Un amico di Italo Balbo: con la Rsi divenne Podestà di San Donà di Piave. Dopo l’8 settembre fuggì per salvare la pelle. Per fortuna ci riuscì».
Perché me lo racconta?
«La bambina si chiamava Gardenia, ed era destinata a diventare madre di un bimbo. Di Dario. Cioè Franceschini. E sa chi me l’ha raccontato?».
Chi?

«Lo stesso Franceschini! Ecco perché, quando vedo semplificazioni antistoriche, e che a farle è il Pd, scuoto il capo».
Cosa non la convince?
«Non credo che il problema del Pd sia la storia del ’45. Mi cascano le braccia se vedo Veltroni abbarbicato a questo antifascismo perdente e suicida. Perché so che il suo vero problema è Di Pietro che fa la faccia feroce. Lui allora rilancia, senza esserne convinto, perché gli stanno rubando il patrimonio».
Parliamo del primo inverno della paura, nel 1943.
«Non capisco cosa ci sia si scandaloso in quel che ha detto La Russa».
Forse il suo ruolo?
«Ma il ministro della Difesa non è un sacerdote della repubblica, tenuto all’imparzialità! Non siede al Quirinale. È un politico, un ministro. Posso citarle i numeri di Salò?».
Degli arruolati.
«Sì. Secondo le fonti della Rsi, furono più di 800mila».
Stime di parte?
«Non molto contestate, a dire il vero, ma il nodo è un altro. Vogliamo dire che erano 500mila? Il fatto è chi erano davvero questi ragazzi».
Intende il loro identikit?
«Dico che è grottesco etichettarli tutti come torturatori e amici dei nazisti! Molti di loro erano cresciuti nel regime fascista, immersi in un clima di propaganda perenne: cinema, scuola, radio... le divise dei figli della lupa... ».
E quindi?
«E quindi, la maggior parte di loro, non poteva certo schierarsi per un parlamento legittimo, che non aveva nemmeno mai conosciuto».
Giudizio storico o politico?
«Dico che quella educazione, fatalmente, portava molti di loro all’idea che difendere la patria dagli angloamericani fosse il primo dovere».
Bisogna distinguere, dice?
«Da storico "dilettante" mi occupo di queste cose dai tempi della laurea... Sono storie complesse. Altrimenti non si capisce come mai, fra quei ragazzi, ce n’erano molti che divennero sinceri antifascisti, Nomi mille volte citati: Tognazzi, Dario Fo, Vianello, persino Gian Maria Volontè».
Ma ci fu pacificazione?
«Anedotto illuminante. Quando andai al Giorno, nel 1964, Italo Pietra, che aveva fatto il partigiano, e si trovava molti ex ragazzi di Salò in redazione, scherzava: "Chi di voi mi ha fatto saltare la casa, sul monte Penice, nel rastrellamento dell’agosto 1944?"».
Difficile a credersi, con gli occhi di oggi.
«Invece accadeva. E gli rispondevano: "Io no, stavo nella brigata nera di Varese...", "Io neppure, ero con gli sciatori di Pavolini..."».
Sta cercando di dire che...
«Fino a che non arriva il detonatore violento degli anni di piombo, questo paese aveva chiuso la faida del ’45».
E teme che ora si riapra?
«Con tanto odio in giro, temo possa accadere. Un altro esempio insospettabile?»
Su chi?
«Livio Zanetti: grande maestro di giornalismo, direttore dell’antifascista L’Espresso».
Quando si seppe che...
«A metà degli anni settanta, per il dispetto di un’agenzia di stampa di destra. Ebbene: nessuno, dico nessuno, si azzardò a chiederne la testa».
Chiedo ancora: come mai?
«Erano tempi meno feroci. Forse il Pci aveva altre bandiere, il mito dell’Urss. Ecco, a me preme spiegare che quei ragazzi di cui parla La Russa, non erano quattro miserabili scherani, come vuol far credere chi polemizza con lui».
E chi erano?
«Uomini che si trovarono giovanissimi nel tempo delle scelte dure. Alcuni di loro potevano essere nostri padri. O fratelli. O persino, come nel caso di Franceschini, i nostri nonni».

venerdì 5 settembre 2008

IL PORTALE DELLA TECNOLOGIA


Il titolo di questo post sembrerà ambiguo, dato che questo non è certo un portale tecnologico, ma abbiamo inserito una serie di servizi non comuni per renderlo sempre più aggiornato e alla portata di varie esigenze. L'intendo è quello di offrire contemporaneamente servizi e informazione, far si che l'una aiuti a sviluppare l'altra. Infatti, tramite questo portale, è possibile:
- inviare SMS gratuitamente in Italia e all'estero;
- usare il dizionario di Inglese e Tedesco;
- consultare gli orari del treno per qualunque destinazione;
- trovare le offerte e gli orari dei voli delle compagnie aeree più convenienti;
- guardare RAI News24 in tempo reale o altre TV a vostra scelta.

giovedì 10 luglio 2008

Non tornano i conti di Tonino!!!

Articolo di di Giulio Sansevero [ 10/07/2008] pubblicato su "LAVOCEDELLEVOCI"
Spunta fuori un altro appartamento di Antonio Di Pietro. Il leader dell'Italia dei Valori l'ha acquistato il 16 marzo del 2006 a Bergamo. 178 metri quadrati di superficie catastale, 9 vani, il tutto per una cifra molto bassa: 261.661.000 euro. L'immobile si trova al terzo piano di via Locatelli 29, una delle arterie piu' pregiate della “city” orobica. Abbiamo consultato un immobiliarista del posto e ci ha detto che un appartamento di quella grandezza, in quella zona, nel 2006 poteva essere tranquillamente venduto a non meno di 500.000 euro.
Un vero affare dunque per l'ex pm di Mani Pulite. Come ha fatto a pagarlo cosi' poco? L'ha acquistato dall'Inail, che, proprietario di tutto lo stabile, lo ha ceduto nell'ambito della cartolarizzazione del suo patrimonio immobiliare. La vendita e' avvenuta il 10 novembre 2004 tramite un'asta con offerte segrete presso il notaio Giuseppina Santangelo. Il prezzo base era di 204.085 euro. A parteciparvi pero' non era Di Pietro stesso, ma Claudio Belotti, il compagno di Silvana Mura, deputata e tesoriera, nonche' socia dell'Associazione Italia dei Valori, la donna che insieme a Tonino controlla con pugno di ferro le finanze del partito. Belotti in un primo momento veniva escluso dal notaio e l'appartamento se lo aggiudicava per 245.000 euro la Bergamo House srl.
Il “signor Mura” pero' non desisteva e presentava un primo ricorso al Tar, che lo respingeva e infine al Consiglio di Stato, che invece lo accoglieva. In giudizio nessuno dei soggetti interessati resisteva al Belotti, nemmeno l'aggiudicataria provvisoria. E siccome l'offerta targata Belotti era piu' alta, l'appartamento veniva venduto definitivamente a lui. Quindi all'atto del rogito, Belotti, che aveva partecipato all'asta per persona da nominare, rivelava che questa persona era Antonio Di Pietro. L'ex pm pagava con 5 assegni non trasferibili della Banca Nazionale del Lavoro e diventava cosi' proprietario dell'appartamento. Se si consulta l'elenco telefonico di Bergamo, ci si imbatte in due numeri (uno e' un fax) intestati a Silvana Mura. Entrambi fanno riferimento alla stessa abitazione, sita proprio in via Antonio Locatelli 29. I due numeri, inoltre, sono gli stessi dell'ufficio di via Taramelli 28, ex sede storica della tesoriera nazionale dell'Italia dei Valori. La coincidenza fa pensare che ora la tesoreria sia stata trasferita nell'appartamento acquistato da Di Pietro.

PARTITO CIRCOLARE
Sarebbe interessante sapere se per caso la Mura sia semplicemente sua ospite (visto il notorio disinteresse per il denaro dell'ex magistrato) o se per caso l'appartamento in questione sia stato affittato all'Italia dei Valori, esattamente come accaduto per quelli di via Casati a Milano e di via Principe Eugenio a Roma, sempre di proprieta' di Di Pietro. In ogni caso niente di illecito, naturalmente; ma se cosi' fosse, sarebbe la conferma che nell'Italia dei Valori cariche e proprieta' immobiliari, partito e parentele, sono come gli assegni: circolari. Per Di Pietro, peraltro, e' stata una vera fortuna che tutto si sia concluso prima della formazione del governo Prodi, perche' se fosse stato ministro, per effetto di norme interne dell'Inail, non avrebbe potuto aggiudicarsi l'appartamento.
Se ogni cosa, come sembra, e' in regola, l'ex titolare delle Infrastrutture dovrebbe tuttavia spiegare alla pubblica opinione dove trovi tutti questi soldi per comprare un cosi' cospicuo numero di appartamenti. Perche' a questo punto cominciano ad essere davvero tanti. Soprattutto per uno che nel 2005 e nel 2006 ha dichiarato un imponibile rispettivamente di 175.000 e 183.000 euro.

L'ITALIA DEI MATTONI

Ma vediamo di ricapitolare il patrimonio immobiliare del leader dell'IdV. Fin quando e' stato magistrato Di Pietro ha acquistato una villetta a Curno dove era andato a vivere con l'allora compagna Susanna Mazzoleni e poco dopo, esattamente nel 1994, un'altra villetta attigua, di otto vani, dove attualmente risiede quando si reca nella cittadina lombarda e dove in una stanza “bunker” conserva il suo archivio personale.
Quando nel 1995 diventa docente all'Universita' di Castellanza, acquista a Busto Arsizio, con un mutuo e i proventi di alcune cause per diffamazione vinte, un grande appartamento di circa 300 metri quadri che trasforma in sede operativa del partito. La spesa e' intorno ai 250 mila euro. L'80 per cento dell'importo viene coperto con un mutuo agevolato. Una parte di questo appartamento nel 2001 ha ospitato un gruppo di carabinieri inviati in servizio a Malpensa dopo l'11 settembre.
Poi nel 1999, appena eletto nel Parlamento Europeo, acquista a Bruxelles un bilocale di 80 metri quadrati. Prezzo ignoto. Lo shopping immobiliare continua e il 3 gennaio 2002 compra un appartamento in via Merulana, a Roma, quello dove vive quando si trova nella capitale. Altri otto vani, per un totale di 180 metri quadrati. Un quarto piano molto luminoso pagato intorno ai 650 mila euro grazie anche ad un mutuo di 400 mila euro acceso con la Bnl.

4 febbraio 2003. Di Pietro acquista a Montenero di Bisaccia, per suo figlio Cristiano, un attico di 173 metri quadrati. Sei vani e mezzo poi ampliati a otto e a 186 metri quadrati (piu' 16 di garage) grazie al condono edilizio del 2003. La spesa sostenuta e' all'incirca di 300 mila euro.
Meno di due mesi dopo, il 28 marzo, Di Pietro compra a Bergamo un quarto piano agli altri due figli, Anna e Toto. Sette vani e mezzo per un totale di 190 metri quadrati. L'appartamento e' situato in un elegantissimo palazzetto liberty di via dei Partigiani, una delle strade piu' belle del centro citta'.
Un giorno frenetico, quel 28 marzo. Presso lo studio del notaio Nosari, infatti, Susanna Mazzoleni, moglie di Di Pietro e madre dei tre ragazzi, acquista un appartamento di 48 metri quadrati, collocato anch'esso al quarto piano. La lista della spesa viene completata con due cantine e un garage, tutti in via dei Partigiani, tutti acquistati presso l'Immobiliare San Michele, rogitati lo stesso giorno e presso lo stesso notaio. Un esborso, dicono esperti immobiliaristi bergamaschi, intorno agli 800 mila euro. Chi ha pagato? Antonio Di Pietro o Susanna Mazzoleni?
Chi conosce Di Pietro sostiene che a pagare non puo' che essere stato il leader dell'Italia dei Valori. Nel 2004, consigliato da un notaio, Di Pietro decide di intestare all'An.To.Cri. (la societa' che prende il nome dalle iniziali dei suoi tre figli e che viene finanziata con prestiti personali del socio unico Di Pietro) l'appartamento che acquista a Milano in via Felice Casati: 9 vani per un totale di 190 metri quadrati. Il rogito avviene il 20 aprile. Il prezzo pagato e' 620 mila euro. Poco dopo An.To.Cri acquista a Roma un appartamento di 10 vani (stessa superifice, i canonici 190 metri quadrati) in via Principe Eugenio, non distante da via Merulana, dove Di Pietro abita. La spesa sostenuta e' intorno ai 900 mila euro. Di Pietro si accolla due mutui che accende presso la Bnl, 276 mila euro da rimborsare entro il 2015 per l'appartamento milanese, 385 mila per quello romano, da restituire entro il 2019. E com'e' noto le rate dei mutui Di Pietro le ricavera' (salvo poi ripensarci in seguito alle poche notizie comparse sull'affaire), dall'affitto versato all'An.To.Cri. dall'Italia dei Valori.
Siamo al 2005: il 23 dicembre Susanna Mazzoleni acquista un piccolo appartamento di due vani e mezzo nella centralissima via del Pradello e sempre lo stesso giorno diventa proprietaria di un ufficio di quattro vani e mezzo, 90 metri, ubicato nella medesima palazzina. Totale del valore tra i 400 e 500 mila euro. Ha pagato l'avvocato Mazzoleni che, come e' noto a Bergamo, di fatto non esercita piu' alcuna attivita' forense? Nel 2006, come sappiamo, Di Pietro acquista l'appartamento di via Locatelli a Bergamo, mentre nel 2007 l'ex ministro avvia l'impegnativa ristrutturazione della masseria di famiglia a Montenero di Bisaccia.

MONTENERO SUPERSTAR

La casa viene interamente demolita e ricostruita ex novo, con un considerevole ampliamento, giungendo ad un'estensione di circa 450 metri quadri, articolati in 12 vani e mezzo. La spesa per i lavori supera i 180 mila euro.
Nel corso degli anni Di Pietro, sempre nella natia Montenero, ha messo insieme 32 appezzamenti di terra, molti dei quali minuscoli, per un totale di 16 ettari di proprieta'. Alcuni di questi li ha ereditati dal padre e altri li ha riscattati dai familiari, difficile pero' ricostruire quanto abbia speso. Nel 2008, infine, il leader dell'Italia dei Valori acquista per sua figlia Anna un altro appartamento a Milano, in piazza D'Ergano: 60 metri quadrati nel quartiere della Bovisa. Costo intorno ai 300 mila euro.
A fronte di queste spese, Di Pietro ha venduto l'ufficio di via Milano, a Busto Arsizio, 300 metri in un zona piuttosto depressa che insieme ai garage di pertinenza ha fruttato intorno ai 400 mila euro, una parte dei quali, almeno 100 mila, restituiti alla banca che aveva erogato il mutuo. Secondo quanto ha dichiarato al giudice romano Luciano Imperiali con questi soldi, non piu' di 300 mila euro, avrebbe acquistato l'appartamento di via Felice Casati a Milano e quello di via Principe Eugenio a Roma, poi venduto nel corso del 2007.
Ma i conti non tornano. All'appello mancano tra i 400 e i 500 mila euro. E tutti i soldi per comprare gli altri appartamenti? Perche' Di Pietro tra il 2002 e il 2008 ha sborsato oltre quattro milioni di euro per acquisire immobili, per se' o per la famiglia. Incassando per vendite circa un milione di euro al netto dei mutui restituiti. A questo si aggiungano le spese sostenute per mantenere la moglie, i tre figli e i tre nipotini, tutti con un tenore di vita altissimo. A differenza di lui, Tonino, che da vero contadino spende poco sia per vestire che per mangiare e quello che risparmia lo investe tutto nel classico mattone.

domenica 6 luglio 2008

Zapatero: via tutti i crocifissi dai luoghi pubblici


Addio ai funerali di Stato cattolici e ai crocifissi nei luoghi pubblici. Il partito socialista (Psoe) del premier spagnolo José Luis Zapatero, in occasione del suo 37º congresso ha presentato il progetto di riforma della Legge organica sulla libertà religiosa «per la progressiva scomparsa dei simboli e delle liturgie religiose negli spazi pubblici e negli atti ufficiali dello Stato».

Ma cosa avrà Zapatero contro un crocifisso in un luogo pubblico? Ha paura? Mi sbaglio ma questa non è laicità ma laicismo? Perchè vuole sradicare le radici culturali (solo di carattere religioso)? Ponendomi queste domande, ho fatto delle ricerche e ho scoperto un particolare interessante che potrebbe dare delle risposte.

Ricardo de la Cierva, ex ministro, ma sopratutto storico e studioso della Massoneria indica in Zapatero un politico massone ed espone la coincidenza della politica del governo spagnolo con i dettami delle Logge. Spiega di essere « documentato» , anche se non vuole rivelare la propria fonte. Allora cita prove dal punto di vista morali: << Questo è un governo massonico come il Gruppo Prisa è un gruppo massonico. Una coincidenza voluta: questi ultimi sono gli editori dell'emittente Canal , che l'anno scorso, in coincidenza con il Natale, aveva mandato in onda la ricetta per cucinare un Crocifisso al forno. Ma concentrano nelle loro mani anche una serie di testate influentissime in Spagna.

Ecco perché De la Cierva porta gli esempi concreti dell'intreccio tra i media e la prassi del Partito Socialista: «La politica ferocemente anticristiana e anticattolica di Zapatero su temi come le relazioni con la Chiesa, il "matrimonio" omosessuale, la riforma scolastica, eccetera, è diretta a sradicare l'influenza della Chiesa nella società. Questa è la massoneria». Aggiunge, indicando proprio nelle Logge uno dei fattori più preoccupanti di divisione della Spagna che, come ai tempi della guerra civile del 1936, «corre un pericolo imminente di disintegrazione» . Anche se, a differenza di settant'anni fa « ora la pace è possibile». Zapatero non sembra accogersene, per quanto si sia «moderato un po', perché ha visto la reazione mondiale dopo la morte di Giovanni Paolo II e l'elezione del cardinale Ratzinger come nuovo Papa.

E, se non bastasse, ha visto come la stampa massonica spagnola si è arresa all'evidenza constatando che Giovanni Paolo II possedeva le qualità che loro stessi venerano: dominio delle masse, profondità spirituale e proiezione universale».
Se non che, alla fase moderata, il premier spagnolo ha già fatto seguire un periodo successivo: il delirio di onnipotenza. Tanto sa che gli è concesso quel che nessuno ha mai osato fare. Da un lato può praticare la tolleranza zero a colpi di fucile contro gli immigrati clandestini a Ceuta e Melilla, dall'altro intavola trattative, anzi un dialogo, con i terroristi dell'Eta, che lo considerano un interlocutore privilegiato per risolvere a modo loro la situazione nei Paesi Baschi, cioè senza abbandonare le armi e non concedendo nulla di più che una tregua armata.

Solo Zapatero se lo può permettere, perché non gli mancano gli appoggi importanti. Quelli in grado, cioè, di costruire il consenso. I poteri forti non legittimati dalla democrazia! .
Leviamo il crocifisso e osanniamo Zapatero...lui può darci delle rispote!!!

venerdì 6 giugno 2008

Ahmad Al Baghdadi: “Il Papa non aveva affatto torto quando ha sostenuto che il pensiero islamico è privo di razionalità”

Dal CORRIERE della SERA del 5 maggio 2008, un articolo di Magdi Allam:
«Il Papa non aveva affatto torto quando ha sostenuto che il pensiero islamico è privo di razionalità». Per averlo scritto e aver dichiarato che «l'islam si è diffuso e si è imposto solo con la spada», nonché «la spada del terrorismo religioso pende sul capo di tutti coloro che affermano delle tesi divergenti», l'intellettuale e accademico kuwaitiano Ahmad Al Baghdadi è stato condannato a fine maggio da un tribunale del Bahrain a una multa di 370 dollari. Una condanna troppo mite, hanno denunciato i Fratelli Musulmani, e certamente lo è rispetto a quella del marzo 2005 quando la Corte d'Appello del Kuwait lo condannò a un anno di carcere con la condizionale e al pagamento di 6800 dollari. Lui, docente di Scienze politiche all'Università del Kuwait ed editorialista di diverse testate arabe del Golfo, aveva deciso di chiedere asilo politico in Occidente qualora la condanna fosse stata esecutiva ed ora ha reagito annunciando che continuerà imperterrito la sua battaglia a favore del pensiero laico e liberale e di denuncia dell'estremismo e del terrorismo islamico.
La riabilitazione dello storico discorso pronunciato da Benedetto XVI all'Università di Ratisbona il 12 settembre 2006 fu espressa da Al Baghdadi in un commento pubblicato sul quotidiano Al Ayyam del Bahrain il 24 ottobre dello stesso anno. «Il Corano contiene decine di versetti sull'uccisione e la guerra legittimanti il contesto islamico denominato la Jihad, così come sono incalcolabili i fatti e i detti attribuiti a Maometto sull'uccisione e il combattimento dei non musulmani, a cui si impone di convertirsi all'islam o di pagare la
Jizya, la tassa imposta ai non musulmani in modo umiliante, oppure di essere uccisi».
Al Baghdadi è convinto, secondo quanto dichiarato nel corso della trasmissione «Ida'at» diffusa dalla televisione Al Arabiya il 20 luglio 2005, che «non ci sono moderati in seno al movimento religioso islamico. Se li costringi a uscire allo scoperto, emergerà il fondamento del loro pensiero che è l'apologia della violenza». In quell'occasione sostenne che il pensiero islamico non recepisce i concetti dello Stato, della democrazia e della civiltà «perché noi non abbiamo la stessa storia e tradizione dell'Occidente. Cinquecento anni prima di Cristo loro avevano Aristotele e la Repubblica di Platone. Da noi neppure Averroè ha detto nulla di nuovo sulla libertà e la democrazia».
All'origine della sua prima condanna nel 2005 vi fu una sonora denuncia delle scuole e delle università islamiche che, a suo avviso, «sono diventate un covo di terroristi islamici». «Non voglio onestamente che mio figlio impari a memoria il Corano, non voglio che diventi un imam o che si metta a pregare nelle tende dove si fa apologia della morte.
Non voglio che studi le materie religiose a scapito della musica. Non voglio che segua le orme degli ideologi o dei terroristi islamici», aveva esordito, «voglio un figlio che aspiri alla pace e che ami il prossimo indipendentemente dal suo colore, razza o religione. Voglio un figlio che contribuisca a costruire, non a distruggere, la società. Voglio un figlio di cui essere orgoglioso per la sua conoscenza e per la sua razionalità, non per il suo oscurantismo ideologico». Al Baghdadi è un musulmano moderato che denuncia la violenza insita nell'islam del Corano e di Maometto e trasformata dagli estremisti islamici in una religione globalizzata che è riuscita a mettere radici anche in Occidente. Lui immagina che fuggendo in Occidente dovrebbe trovarvi riparo e sicurezza dai tagliagola e dai taglialingua che uccidono o zittiscono nel nome di Allah. Purtroppo non è più così, anche se l'Occidente stesso non ne è del tutto consapevole

giovedì 5 giugno 2008

Perchè la Germania non vuole l'Italia nel 5+2



Il ministero degli Esteri tedesco ha affermato di non favorire il nostro ingresso all’interno del gruppo di dialogo con l’Iran formato dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania. In questo breve articolo cerchiamo di capire brevemente le ragioni di questa mossa.
Con l’affermarsi dell’Iran a livello internazionale e soprattutto con lo sviluppo del suo programma nucleare, la comunità ha cercato di impostare un dialogo con Teheran per evitare che la situazione potesse degenerare. Accortasi presto della sua “illegittimità” , la suddetta comunità internazionale decise di includere la Germania nelle trattative.

La mossa aveva molte ragioni. Innanzitutto, Berlino si era appena opposta duramente alla Guerra in Iraq. Inserendola nelle trattative con l’Iran si sperava di ricomporre la frattura anche perché nonostante il suo tanto sbandierato europeismo, il sogno irrealizzato della Germania era un seggio permanente all’ONU. Invece molti creduloni pensavano che quel seggio sarebbe spettato all’Unione Europea.
La Germania ha fatto capire che non vuole l’Italia nelle trattative. Si badi che la ragione non è razzista. Il timore di Berlino è che elevando Roma al suo stesso livello, le ambizioni tanto europee che internazionali della Germania siano costrette a ridursi.

Già lo scorso anno la Merkel si era detta intenzionata a riavviare il programma spaziale tedesco. Per la cronaca, esso era stato lanciato da Hitler. Sta di fatto che a Berlino continuano a capire molto bene chi sono gli avversari e come eliminarli. La crescita del ruolo dell’Italia implicherebbe una sconfitta per la Germania, in quanto Berlino non sarebbe più il solo Paese ad essere aggiunto al Consiglio di Sicurezza. Di qui, non solo le sue mire all’ONU subirebbero uno schiaffo, ma anche la politica all’interno dell’Unione Europea verrebbe modificata. Ecco perché la Merkel ha sbattuto la porta in faccia a Roma.

Quando si parla di Europa, anziché tifare per il candidato ideologicamente più vicino, dovremmo tifare, come italiani, per il candidato più debole.

Il nostro Paese dovrebbe sviluppare una strategia volta a massimizzare la nostra posizione in Europa, prima, e a livello internazionale, dopo, sfruttando minacce, ritorsioni e alleanze tattiche.
Vedremo se la nostra classe dirigente sarà capace di tanto.

lunedì 2 giugno 2008

A.A. Cercasi urgentemente un fascista



Su tutti i giornali, su tutte le reti, in tutti i dibattiti, sulle strade c'è un continuo fiorire del termine “è fascista”, richiamandosi alla parole d’ordine antecedenti alla Repubblica. Da Verona a Ponticelli, dal Pigneto alla Sapienza, a qualsiasi atto di criminalità e di teppismo viene attribuita senza alcuna esitazione la matrice politica, anche quando gli stessi inquirenti la escludono con decisione. Ma tanto non importa, sono i fascisti, i topi di fogna tornati fuori dalle fogne, perché il centrodestra ha vinto le elezioni.

Soprattutto a Roma, perché lo smacco della sconfitta elettorale, dopo anni e anni di governo della sinistra, è davvero duro da digerire. Negli articoli spesso si omette di dire che i cinque di Verona erano bulli da stadio ventenni e solo per uno di loro sono state provate le idee politiche (ma poi, come si fa a dare del fascista a uno che è nato nell’88?); che a Ponticelli è stato un regolamento di conti patrocinato dai camorristi locali; che nel terribile raid del Pigneto non è stata riscontrata alcuna matrice politica (anzi il "capo del commando" è un guevarista convinto); che alla Sapienza il collettivo degli studenti della sinistra volevano impedire (e ci sono riusciti) che si tenesse un convegno della estrema destra sulle foibe.

Naturalmente la violenza va non solo condannata, ma duramente repressa sempre e comunque. Anche per questo bisognerà che la politica faccia capire subito e senza lasciare spazio ai malintesi che la legalità vale per tutti, delinquenti comuni, italiani, stranieri, destri, sinistri e di centro. Ma voler attaccare sbrigativamente etichette politiche, mutuate fra l’altro da un passato ormai lontano, non aiuta nessuno, se non chi cerca consenso elettorale cercandosi un nemico a mio avviso "inesistente". I criminali vanno descritti come criminali, dargli una matrice politica li mobilita, li fa sentire eroici, li fa sentire di parte, mentre non appartengono a nessuna parte, se non quella dell’illegalità. Tutti i giornalisti, tutti i politici, chiunque cerchi di fare minimamente opinione in questo Paese dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza e smettere di cercare di riportarci in un clima di odio di parte, dal quale solo di recente siamo faticosamente usciti.
La sinistra se vuole essere credibile e ottenere un nuovo consenso deve puntare sul futuro, il rinnovamento e cambiamento. Il fascismo è finito, i fascisti non ci sono più da un pezzo...e i comunisti?

martedì 27 maggio 2008

Scontri alla Sapienza. Il clima è sempre mite


Oggi ci sono state tensioni in via Cesare De Lollis davanti all’università tra studenti dei collettivi studenteschi e alcuni esponenti di destra. A terra quattro militanti: due di estrema sinistra e due di Forza Nuova. Sei persone "al vaglio" della Digos.
Trent’anni son passati da quell’anno di fuoco che fù il ‘77 italiano: trent’anni dalla cacciata di Lama da La Sapienza, trent’anni dagli scontri con i fascisti all’università, trent’anni dalla burocrazia piccista, trent’anni dalla dicotonomia di “sacrificio!” La notizie è sconcertante perchè mette alla luce, oltre a della violenza, una situazione insostenibile del clima che vige nel più grande polo universitario italiano. Proprio al fulcro della formazione, dove si dovrebbe tutelare ogni specie di informazione e di ricerca, vigono fenomeni di intolleranza religiosa, sociale e politica.

La rissa tra i ragazzi di estrema destra e sinistra non è un caso isolato ma un allarme. Ve lo dico perchè studio alla Sapienza e conosco realmente ciò che succede nel mio ateneo e soprattutto nella mia facoltà.

Nella nostra università vengono violati principi fondamentali della nostra costituzione:
- art.1 "L'Italia è una Repubblica democratica";
-art.2 " La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo... doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" ;
- art.3 " E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini....all'organizzazione politica" ;
- art. 17 " I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente"
...

Non ci deve importare chi ha iniziato a picchiare, chi aveva i bastoni e chi le catene. Ci deve importare le radici del problema. Che sono queste:
- studenti di estrema destra hanno organizzato un convegno sulle Foibe ;
- studenti di sinistra non volevano che la destra organizzasse questo convegno perchè le Foibe non si devono toccare e perchè siamo antifascisti;
- occupazione e revoca della concessione dell'autorizzazione al convegno;
- scontri.

L'università è o no il centro della cultura,della formazione e della ricerca?
NO! A La Sapienza no! C'è un'imposizione del silenzio da parte di studenti di sinistra.Sono un Liberale che ama la propria Patria, l’Italia. Per garantire che la nostra Repubblica sia democratica occore garantire la manifestazione di ogni individuo. Secondo me, bisogna garantire la libertà di parola a destra, sinistra, cattolici, comunisti, fascisti, ebrei e al Papa. Occorre che si parli di foibe, Libia, Risorgimento, brigantaggio, fascismo, resistenza, mafia, relativismo, laicità
, lobby...

Con l'applicazione della libertà di espressione possiamo contribuire a migliorare il nostro paese, la sua storia, a placare gli odi e le violenze. Il Rettore, i presidi e professori non contribuiscono a marginare questo blocco culturale. Gli studenti sono oppressi e ammutoliti da una cerchia di estremisti. E' inamissibile che il silenzio e il mancato garantismo continua a manifestarsi. Dagli "anni di piombo" non è cambiato nulla alla Sapienza, a parte la riduzione dei morti. Tanto, tra un pò di giorni i giornali non ne parlano più!

mercoledì 14 maggio 2008

Inchiesta sullo sperpero di denaro pubblico, il 'modello Molise' in onda su La7


L'emergenza infinita del terremoto del Molise, l'impiego dei fondi dell'art. 15, il "modello Molise" sono stati al centro della puntata di ieri sera di Exit, la trasmissione di La7 condotta da Ilaria D'Amico.
Se vuoi vedere il video andato in onda clicca qui
Questo signore e signori è il Molise. Terra bellissima, dimenticata per anni e balzata alle cronache mondiali per il terremoto o per meglio dire per la morte di quei bambini non causata solo dal sisma ma dall’incompetenza e dalla spregiudicatezza di costruttori e progettisti senza scrupoli. L’inchiesta di Exit mette in luce chiaramente come i soldi destinati alla ricostruzione siano stati spesi in modo scellerato, finanziando attività paradossali (con l’art. 15 è stata costruita anche una megapiscina in un noto locale di Campobasso) ignorando la reale necessità della popolazione colpita dal sisma che è ancora strategicamente rinchiusa nelle casette prefabbricate. L’interesse a ricostruire il più tardi possibile le case dei residenti del cratere è palese. Più tardi escono da quelle case di legno e più soldi arriveranno alla nostra regione o per meglio dire più soldi andranno a finanziare il sistema di imprese che tuttora beneficia dei fondi della ricostruzione.
L’economia della mia regione è da tempo in ginocchio, le storiche medio grandi aziende che fungevano da perno per lo sviluppo della regione sono tutte fallite o stanno per fallire. L’unico datore di lavoro è la regione, le altre istituzioni e le imprese che hanno potuto lucrare sul business della ricostruzione. Una popolazione di 300.000 persone che tira a campare grazie a questo sistema messo in piedi da una classe politica incapace di proporre un reale cambiamento di mentalità.
Manca qualsiasi prospettiva di sviluppo e i giovani sono costretti a scappare convinti che in regione non ci torneranno se non quando raggiungeranno l’età pensionabile.
Si, perché il nostro è UN PAESE PER VECCHI, vecchi stanchi, servili al potere dei pochi fedautari, pronti ad insegnare anche ai pochi giovani rimasti la cultura del clientelismo e del leccaculismo. Una terra dove nessuno ha più voglia di cambiare lo stato delle cose. Dai...continuiamo a tirare a campà!!

lunedì 12 maggio 2008

mercoledì 7 maggio 2008

Inchiesta sui prezzi della benzina...sarà vero?

Il prezzo della benzina aumenta di giorno in giorno inesorabilmente ma è diventato un bene primario, più del pane. Cinquant’anni fa possedere un auto in famiglia era un lusso, dieci anni fa averne due in famiglia era normalità, oggi l’auto è un effetto personale.
Siamo a quota 1,4 euro a litro e tra un anno toccheremo quota 1,5. Abbiamo davvero idea di quanto influiscano questi piccoli aumenti sulla spesa annua totale di carburante? Abbiamo davvero una percezione di quello che finanziamo quando mettiamo 20 euro di benzina?
Cerchiamo di ripercorrere sinteticamente il percorso del greggio, dal produttore al consumatore.
Oggi un Barile di greggio costa c.ca 95 dollari e al cambio di giorno 5 dicembre 2007 un dollaro vale 0,6845; quindi un barile, in euro, costa 65 euro. Un barile corrisponde a 159 litri di petrolio. Dividendo i 65 euro di un barile per i 159 litri del barile stesso otteniamo il costo di un litro di petrolio appena estratto: 65/159 = 0.41 euro al litro.
Dove va a finire l’euro in più che paghiamo al litro? Serve forse per la lavorazione dl greggio? Non esattamente. Il litro di petrolio estratto viene trasportato in oleodotto o su nave alla raffineria; prezzo orientativo del trasporto per ogni litro: 4 cent. Inizia il trattamento, ed il nostro litro di greggio viene raffinato ed esce dallo stabilimento costando c.ca 3 cent. in più.
Il litro di benzina adesso di trova su una autocisterna (o su una nave), direzione rifornimento. I costi di trasporto, quelli per il nolo delle navi e quelli di tenuta (quest’ultimi riguardano il costo che viene sostenuto per depositare il carburante in deposito dato che esistono degli obblighi di "scorta" per costituire le riserve del Paese, pari a 90 giorni di consumi) aggiungono un costo di c.ca 9 cent. al nostro litro.
Una volta arrivato nel pozzo del distributore di benzina, la sorpresa deve ancora arrivare, se no pagheremmo 57 centesimi un litro di benzina; il gestore, in realtà, aggiunge 4 cent. al costo del litro protagonista del racconto. Siamo a quota 61 centesimi…e gli altri 80 rimanenti per arrivare a 1.41 euro al litro e far quadrare i conti? Li intasca lo Stato, sottoforma di tasse e accise. Ancora oggi noi cittadini pagando un litro di benzina continuiamo a sostenere vecchissime spese decise decine e decine di anni fa; su un litro di benzina verde paghiamo:
1,9 lire per la guerra di Abissinia del 1935 (per volere di Mussolini)
14 lire per la crisi di Suez del 1956
10 lire per il disastro del Vajont del 1963
10 lire per l’alluvione di Firenze del 1966
10 lire per il terremoto del Belice del 1968
99 lire per il terremoto del Friuli del 1976
75 lire per il terremoto dell'Irpinia del 1980
205 lire per la missione in Libano del 1983
22 lire per la missione in Bosnia del 1996
0,020 euro per rinnovo contratto autoferrotranviari 2004
Totale 486 lire pari a 0.25 euro. Tenetevi forte, su questa tassa viene applicata anche l’Iva, quindi una tassa su una tassa. Non c’è limite al peggio. Quindi, conteggiando gli 80 cent circa che lo Stato tassa su un litro di benzina i conti tornano:
0.41 il costo di un litro appena estratto
0.09 il trasporto dal giacimento alla raffineria
0.03 il prezzo per la raffinazione
0.04 il trasporto dalla raffineria al distributore
0.04 la trattenuta dei gestori
0.80 tasse
Totale 1.41 euro al litro

giovedì 1 maggio 2008

UN SILVIO ITALIANO MA NON MOLISANO


Berlusconi, eletto in tutte le regioni, ha sciolto la riserva e ha optato per il collegio del Molise alla Camera. Estromette così Quintino Pallante. Non appena si è sparsa la notizia di questa eventualità gli esponenti molisani di Forza Italia hanno cercato di far desistere Berlusconi da tale decisione e di fargli cambiare idea, senza però riuscirci...

Silvio Berlusconi, eletto in tutte le regioni, ha sciolto la riserva e ha optato per il collegio del Molise alla Camera. Estromette così Quintino Pallante. L’ex assessore regionale di An era 3/o nella lista molisana del PdL alle spalle di Berlusconi e del consigliere regionale Sabrina De Camillis. Non appena si è sparsa la notizia di questa eventualità gli esponenti molisani di Forza Italia hanno cercato di far desistere Berlusconi da tale decisione e di fargli cambiare idea, senza però riuscirci. “La scelta del Molise, da parte del presidente Berlusconi, come circoscrizione per la propria elezione a deputato, determinerebbe un indubbio impoverimento di rappresentanza da parte della nostra piccola regione”. E’ l’amaro commento espresso dall’associazione “Forche Caudine” di Roma, lo storico club di rappresentanza dell’emigrazione molisana sparsa per il mondo, alla possibile scelta del leader del Popolo della Libertà del seggio molisano.
“Il Molise, pur governato da anni dal centrodestra, rischia di avere nella maggioranza che governerà il Paese un solo deputato molisano eletto nel proprio territorio, cioè Sabrina De Camillis, cui si aggiunge il molisano Amato Berardi, eletto in America - continua la nota di “Forche Caudine”. Tutto ciò a fronte di ben cinque molisani (Astore, Carlino, Di Giuseppe, Di Pietro e Narducci), i più eletti fuori dai confini regionali, che siederanno sugli scranni dell’opposizione tra Camera e Senato. Ciò dimostra che mentre, da una parte, l’emigrazione (con 72mila iscritti all’Aire rispetto ai 320mila residenti) continua a rappresentare una riserva d’ossigeno per una regione che rischia seriamente la sopravvivenza istituzionale, dall’altra i cittadini molisani assistono impotenti al reiterato uso strumentale del Molise come circoscrizione-cuscinetto per investiture parlamentari di politici esterni al contesto regionale, come già capitato con i senatori siciliani Cinzia Dato ed Enrico La Loggia.
E’ un problema di non poco conto in quanto le riforme strutturali ventilate per la prossima legislatura, dal federalismo fiscale all’abolizione di alcuni enti locali, potrebbero penalizzare proprio le realtà territoriali più piccole e deboli come quella molisana”.
Come molisano mi sento davvero offeso, vittima di un sistema elettorale senza preferenza del candidato. Se noi molisani avremo potuto scegliere i nostri parlamentari, di certo non sarebbe uscito Berlusconi (forse come presidente del consiglio ma non come nostro rappresentante in parlamento).Siamo vittime di questa "porcata" del sistema elettorale e di giochi di partito (e di potere) complessi.

Nella nostra storia regionale abbiamo conosciuto pochi bravi parlamentari (come Di Pietro) ma almeno tutti avevano un requisito fondamentale: - essere molisani .

Sivio Berlusconi è una persona stimabile da molti punti di vista ma questa scelta non si può digerire e vorrei che ci dia una risposta. Non credo che Berlusconi conosca la realtà complessa molisana e dubito che conosca pure un solo paese della provincia. Dubito che abbia il tempo perfino di venirci a trovare.

Caro Silvio, se ce l'hai con Di Pietro, non puoi vendicarti con noi molisani, ti abbiamo dato perfino il nostro appoggio come presidente del consiglio e tu ci ringrazi calpestando la nostra identità. Se è stata una vendetta contro Di Pietro sappi che per noi è lui il vincitore:
- è molisano di nascita e di cultura, pure se parla con errori, fa gli stessi nostri errori grammaticali, propri del nostro dialetto;
- ha lavorato molto bene per il Molise proprio perchè ci conosce e ha il coraggio di farlo;
- inoltre ha scelto il Molise per chiudere la sua campagna elettorale;

Come membro del centro-destra sono amareggiato e chiedo scuasa ai molisani che hanno dato il proprio consenso in buona fede ad un sistema complesso e che probabilmente mai capiranno

venerdì 18 aprile 2008

Il "Portale delle libertà" finisce in copertina



Come sapete qualche mese fa siamo apparsi su molti giornali per la questione del Papa a "La Sapienza" ma, non sapevamo di essere finiti sulla copertina di un libro.Non so se vale la pena di comprarlo ma...è fico essere sulla copertina di un libro!
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mercoledì 16 aprile 2008

Totò e la malafemmina italiana


Negli ultimi giorni il popolo italiano ha vissuto ore di ansia, di paura e di speranza a causa delle politiche. Finalmente abbiamo un nuovo governo con un'ampia maggioranza in grado di governare. La cosa che mi ha fatto esaltare più di tutte è l'esclusione di partiti fanta-ideologici, ricattatori, laicisti (no laici!) e anti-sviluppo.

Ad un certo punto scopro una cosa molto triste, non volevo crederci ma, è la realtà:
In Sicilia hanno eletto Totò Cuffaro senatore!!!!!!!
Salvatore Cuffaro è uscito dalla porta ed è rientrato dalla finestra... O meglio: per Salvatore Cuffaro, costretto a dimettersi da presidente della Regione per essere stato condannato in primo grado a 5 anni di reclusione, si è chiusa una porta e si è aperto un portone. E che portone!
L'ex governatore siciliano, infatti, da Palermo si trasferisce a Roma dove occuperà una poltrona del Senato, che si è ''guadagnato'' grazie al 10% dei consensi ottenuto in Sicilia al Senato.

Ma siamo pazzi!? Ma i siciliani sono ingenui o sono davvero mafiosi (o almeno lo è il 10%)?

L'ex governatore siciliano ha già depositato formalmente al Tar del Lazio il ricorso amministrativo per contestare la legittimità del decreto con il quale il presidente del Consiglio Romano Prodi lo ha sospeso dalla carica dopo la sua condanna a cinque anni di reclusione per favoreggiamento.

L'entusiasmo per i risultati elettorali è calato man mano che venivo a conoscenza dell'accaduto siciliano. Su questo blog c'era un sondaggio che chiedeva quanti condannati sarebbero entrati a far parte del parlamento e il 51% ha risposto più di 10. Tra questi sicuramente c'è un pezzo grosso.

Per chi non conoscesse i precedenti giudiziali di Cuffaro vi invito a leggere cosa c'è scritto su internet, su Youtube o qui sotto (preso da Wikipedia):

Cuffaro ha ricevuto il suo primo avviso di Garanzia per una presunta tangente intascata dall'eurodeputato Salvo Lima nel 1993. L'indagine era partita dalle dichiarazioni di un pentito, che però si rivelarono subito false, in quanto Lima nel 1993 era già morto.

Durante la sua prima presidenza alla Regione Siciliana Cuffaro è entrato, insieme ad altri, nel registro degli indagati per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta sui rapporti tra il clan di Brancaccio e ambienti della politica locale.[4] Con gli elementi raccolti, gli inquirenti ritengono che, attraverso l' intermediario Miceli (precedentemente assessore UDC al Comune di Palermo, legato a Cuffaro) e grazie alle talpe presenti nella Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Cuffaro abbia informato Giuseppe Guttadauro, boss mafioso ma anche collega medico di Miceli all'Ospedale Civico di Palermo, e Michele Aiello, il più importante imprenditore siciliano, indagato per associazione mafiosa, di notizie riservate legate alle indagini in corso che li vede coinvolti. Nel settembre del 2005, Cuffaro per questi fatti, negati dall'interessato, è stato rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato alla Mafia e rivelazione di notizie coperte da segreto istruttorio, mentre non è stata accolta l'accusa di concorso esterno. Secondo il GUP è accertato che abbia fornito all'imprenditore Aiello informazioni fondamentali per sviare le indagini, grazie a una fonte non ancora nota, incontrandolo da solo in circostanze sospette, riferendo che le due talpe che gli fornivano informazioni sulle indagini che lo riguardavano erano state scoperte. Nell'incontro, anche una discussione riguardante l'approvazione del tariffario regionale da applicarsi alle società di diagnosi medica posseduta dall'imprenditore. Aiello ha ammesso entrambi i fatti, Cuffaro afferma soltanto che si sia discusso delle tariffe. Il GUP ipotizza inoltre che il mafioso Guttadauro sia venuto a conoscenza da Cuffaro delle microspie, in funzione del suo rapporto con Aiello, sempre per via del contatto con i due marescialli corrotti, in servizio ai nuclei di polizia giudiziaria della Procura di Palermo, uno dei quali è stato l'autore del piazzamento delle microspie. Secondo una perizia ordinata dal tribunale nel corso del processo a Miceli, nei momenti in cui si è scoperta a casa di Guttadauro la microspia, sarebbero state confermate le testimonianze secondo le quali la moglie del boss mafioso ha dato merito a Totò Cuffaro del ritrovamento.[5]

Nel dicembre 2006, Miceli è stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.[6]

Il 15 ottobre 2007 il procuratore aggiunto del processo a Cuffaro Giuseppe Pignatone ha chiesto 8 anni di reclusione per l'attuale Presidente della Regione Sicilia, per quanto riguarda i seguenti capi d'imputazione:

1. favoreggiamento a Cosa Nostra
2. rivelazione di segreto d'ufficio


Il 18 gennaio 2008 Cuffaro viene dichiarato colpevole di favoreggiamento semplice nel processo di primo grado per le 'talpe' alla Dda di Palermo e condannato a 5 anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici. La Corte non lo ha ritenuto responsabile di aver favorito l'organizzazione mafiosa. Cuffaro assiste alla lettura della sentenza nell'aula bunker di Pagliarelli, e dichiara immediatamente di non essere intenzionato ad abbandonare il suo ruolo di presidente della regione Sicilia. Nel frattempo, la pubblicazione di una serie di foto che lo ritraggono con un vassoio di cannoli, mentre apparentemente festeggia per non essere stato condannato per favoreggiamento della mafia,[9] provoca un grande imbarazzo. [10] Il 24 gennaio 2008 l'Assemblea regionale siciliana respinge la mozione di sfiducia (53 voti a 32) presentata dal centro sinistra. [11] Nonostante il voto di fiducia del Parlamento siciliano, Cuffaro si dimette due giorni dopo, nel corso di una seduta straordinaria dell'Assemblea.


In bocca al lupo Italia!!!!!

mercoledì 9 aprile 2008

La Bindi ha lavorato molto...

A noi Rosy Bindi sta così simpatica che non possiamo non parlare sempre di lei. L’ultima che ha combinato, dopo due anni da ministro della Famiglia in cui non si è segnalata pressoché per nulla, se non una furibonda battaglia sul nulla dei Dico, ha nominato tutti suoi amici nell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. L’organismo, voluto nel 2004 dall’ex ministro Roberto Maroni, era nato con lo scopo di fornire studi di settore sulle problematiche inerenti il tema. Sede a Bologna, pochi membri, scelte bipartisan. Bindi ha atteso due anni, e due settimane dalle elezioni, per rendere noti i nomi dei nuovi dirigenti dell’Osservatorio. Intanto ha triplicato le sedi (Bologna, Bari, Roma), nominato 46 membri, di cui “di diritto” i sindaci Nichi Vendola e Sergio Cofferati (noti per le loro lotte a favore di mamme e papà), fatto fuori l’ex direttore Pierpaolo Donati (unanimemente riconosciuto come uno dei migliori studiosi in materie di politiche familiari) e gli esperti dell’università Cattolica di Milano, messo sulla sedia della vicepresidenza Renato Balduzzi, suo consigliere ed estensore della bozza Dico. Non lontane dalla realtà, dunque, le critiche di chi vi vede un «Osservatorio formato Dico» o un «Bindiosservatorio». I nominati, infatti, rimarranno in carica tre anni, e ci pare proprio difficile che con il prossimo governo possano andare d’amore e d’accordo. A guadagnarci solo le famiglie della Bindi. A sudare le famiglie italiane che non possono permettersi nemmeno il lusso di un doppio figlio

In Italia se mantieni due figli ti scalano mille euro dalle tasse. Se finanzi un partito, tremila.

In Italia oggi sposarsi non conviene. Dal punto di vista economico lo Stato (purtroppo) discrimina il matrimonio rispetto ad altre scelte di vita, anche se la Costituzione è molto chiara a tal proposito, dedicando ben tre commi alla sua difesa e sostegno. Il nostro sistema fiscale è un tipico esempio dell’indifferenza dello Stato nei confronti del contributo fornito dalla famiglia al bene comune. La penalizzazione fiscale che essa subisce rispetto ai grandi paesi come la Germania e la Francia è una grave anomalia. In Italia una famiglia composta da 4 persone con coniuge e due figli a carico e il cui reddito è di 25 mila euro paga 1.750 euro di tasse, in Germania 628 e in Francia solo 52. Le differenze sono abissali e accentuate dal confronto con la tassazione di cui è oggetto il single perché, a parità di reddito, chi non ha famiglia paga poco più di chi ha un carico familiare.
Non è certamente equo considerare che la famiglia possa vivere “come se” avesse un reddito disponibile uguale a quello della persona che vive da sola. Senza contare che le spese sostenute per il mantenimento dei figli sono spese che vanno a beneficio della società, perché il primo e principale contributo al bene comune risiede nella procreazione, nel mantenimento e nell’educazione delle nuove generazioni, senza le quali la società si estinguerebbe. Come si sa, l’Italia è afflitta dal deficit demografico molto più che dal deficit dei conti pubblici. Siamo il paese con il tasso di fertilità più basso d’Europa con 1,3 figli per donna, ma anche il tasso di occupazione femminile più basso (il 45,7 per cento). Il fatto che le donne che stanno a casa facciano più figli è sfatato dalla realtà; ad esempio, nei paesi nordici come la Svezia, la partecipazione al lavoro femminile è del 70, 80 per cento e il tasso di fertilità del 2,3 per cento. Da noi una coppia su 5 non ha figli e il 53 per cento delle famiglie ne ha uno solo, anche se molti desidererebbero il secondo. La Francia – regina d’Europa con le sue 800 mila nascite e i 2 figli in media per donna – è considerata la nazione che eroga più risorse per la famiglia e per i figli dedicando il 12 per cento della spesa locale contro meno del 4 per cento dell’Italia. Massima attenzione è data per sostenere il lavoro femminile, come pure per politiche in cui è tenuta in particolare considerazione il ciclo di vita delle persone: la crescita dei figli, specie nei primi anni di vita, la cura degli anziani e dei membri deboli della famiglia. È necessario perciò anche nel nostro paese un notevole investimento in servizi alla prima infanzia e il potenziamento e il sostegno di strumenti che rendano più agevoli e non penalizzanti uscite e rientri nel mondo del lavoro, la modulazione degli orari, l’accompagnamento di carriere, la formazione. Si potrebbe così invertire la tendenza che porta la donna a procrastinare l’età della maternità vedendosi spesso costretta, perché troppo tardi, a dover rinunciare a esaudire questo suo sacrosanto desiderio. Occorre agire su più fronti: dai servizi all’infanzia alle politiche di conciliazione. L’obiettivo alla fine è garantire alle donne una vera libertà cioè di non dover scegliere tra figli e lavoro, ma di poter realizzare entrambi i desideri o, a pari dignità, l’esclusiva cura della famiglia.
L’altra leva fondamentale per sbloccare l’economia e questa “anoressia riproduttiva” di cui l’Italia è malata è senz’altro quella fiscale. Fin dall’inizio della sua attività, il Sidef (Sindacato delle famiglie) ha ritenuto che il problema fiscale fosse di primaria importanza nella formazione e nel mantenimento della famiglia. Sin dall’inizio abbiamo insistito sul fatto che fosse quanto mai necessaria una riforma che commisurasse i redditi e le conseguenti tassazioni ai diversi carichi familiari, il cui peso è determinante per valutare la reale capacità contributiva residua di una famiglia. Per questo abbiamo aderito con entusiasmo nel sostenere la petizione promossa dal Forum delle famiglie che chiede di poter dedurre dal reddito imponibile il minimo vitale annuo necessario per il mantenimento di ogni figlio e familiare a carico, calcolato intorno ai 7.500 euro all’anno.



Il pupo di lusso
Attualmente, invece, riferendosi ad un lavoratore con un reddito di 25 mila euro, se ne spende 15 mila per mantenere due figli, beneficia di un risparmio di imposta di appena 1.000 euro. Se la stessa cifra viene però versata per sostenere un partito il risparmio sale a 3 mila euro. Questo perché i partiti sono considerati un bene sociale importante per un paese, mentre i figli sono considerati un fatto privato: li metti al mondo solo se te li puoi permettere, alla stregua di un bene voluttuario di lusso. Nella petizione si chiede che la deduzione sia possibile a tutte le famiglie e senza tetto di reddito, perché sia riconosciuto un valore e un bene per tutti la procreazione e l’educazione delle nuove generazioni del nostro paese il cui lavoro servirà, tra l’altro, a mantenere la pensione dei single di oggi. In Italia si può detrarre di tutto senza tetto di reddito: la rottamazione delle auto, dei motorini, la ristrutturazione delle case, la palestra e addirittura le mance date ai croupier dei casinò; non così per i familiari o per i figli, non riconosciuti come un bene per la nazione e un patrimonio comune.
In questa battaglia le famiglie sono chiamate ad essere protagoniste. Non ci si può solo lamentare, ma occorre attivarsi, insieme, richiamandosi a questa responsabilità. La petizione è un modo per riportare l’attenzione su un problema che non ha avuto la minima considerazione da parte dell’ultimo governo, nonostante tutte le richieste e le promesse fatte. La nostra proposta non ha solo l’immediato significato di modulare la politica fiscale sulla misura della famiglia anziché su quella dell’individuo singolo, né si presenta solo come un espediente tecnico per sollevare i nuclei familiari dal peso fiscale diventato insopportabile: contiene invece, concettualmente ed operativamente, una rivoluzione culturale che investe la concezione del rapporto tra cittadino e Stato, soprattutto in ordine ad una ridefinizione dei tre capisaldi del sistema e dell’apparato fiscale: la nozione di contribuente, di capacità contributiva, di reddito imponibile.
Anzitutto se contribuente indica chi offre il suo tributo monetario alla comunità in un’ottica di redistribuzione delle risorse a tutti sotto forma di servizi, il porre una quota di deduzione aiuta a mostrare che non esistono nella società solo degli individui singoli, ma che esistono dei soggetti sociali (come la comunità familiare che è il più originario corpo intermedio tra individuo e società) da tutelare allo stesso modo dell’individuo. Perciò la capacità contributiva non può essere determinata come somma dei redditi dei vari membri della famiglia, ma deve essere computata tenendo conto del contributo che la famiglia già offre alla società occupandosi dei soggetti che la compongono, sgravando riguardo a essi lo Stato da oneri assistenziali ed educativi (pensiamo al contributo offerto dall’impegno educativo dei genitori o agli oneri che la famiglia assume in proprio per il mantenimento e la cura dei figli).

Contribuire al bene della società
Da qui la nuova definizione di reddito imponibile, identificato con la deduzione all’origine dal reddito effettivo della quota di mantenimento dei soggetti non economicamente produttivi, dal momento che la contribuzione non coincide con l’applicazione meccanica di un’aliquota progressiva sul reddito tout court, ma deve considerare qual è il reddito veramente tassabile per contribuire alla società. In questo modo, nell’ambito di una futura complessiva riforma del sistema fiscale sarà possibile introdurre strumenti quali il “quoziente familiare” che abbiano alla base, come soggetto imponibile, non più l’individuo, ma il nucleo familiare.
Il valore pedagogico delle leggi è enorme, gli effetti di audaci politiche familiari, come una vera riforma fiscale per la famiglia che tutti attendono, saranno apprezzati nel lungo termine, ma non si può sperare che l’Italia cresca senza ridare centralità alla famiglia come soggetto sociale.

*presidente del Sindacato delle famiglie

lunedì 7 aprile 2008

Attenzione allo stress da blog, può uccidere!

Ansia, insonnia e obesità, combinati ad assenza di esercizio fisico, sonno e dieta irregolare e malsana

(da abc.net.au)
NEW YORK - La morte arriva col blog: lo stress di tenere aggiornato 24 ore su 24 un diario online combinato con l'assenza di esercizio fisico e di sonno e con una dieta irregolare e malsana, sono un cocktail potenzialmente letale che ha cominciato a mietere vittime nel mondo del web. Due settimane fa a Fort Lauderdale (Florida) è stato celebrato il funerale di Russell Shaw, un prolifico blogger di temi tecnologici morto improvvisamente di infarto a 60 anni. In dicembre un altro blogger suo amico, Marc Orhant, era finito sottoterra per un esteso blocco alle coronarie. Un terzo, Om Malik, ha avuto un infarto negli stessi giorni ma ce l'ha fatta: ha appena 41 anni.

Sono casi isolati o la punta di un iceberg? Se lo è chiesto domenica il New York Times raccogliendo le lamentele di altri «diaristi» della rete che hanno perso peso o sono diventati obesi, che non riescono più a dormire regolarmente o crollano esausti sulla tastiera: tutti disturbi, se non proprio malattie, attribuite allo stress di dover produrre notizie in un ciclo di informazione non stop in cui la concorrenza è spesso feroce. Alcuni di quelli che erano nati come diari online sono in effetti diventati negli ultimi anni veri e propri produttori di informazione che fanno concorrenza ai media tradizionali sul fronte della pubblicità. La pressione è enorme soprattutto per i free lance, navigatori della rete pagati spesso neanche dieci dollari a pezzo, ma anche chi sui blog ha costruito una fortuna ha motivo di preoccuparsi.

«Non sono ancora morto, ma presto finirò in ospedale con l'esaurimento nervoso», ha detto Michael Arrington, fondatore e direttore di TechCrunch, un popolare blog sulle nuove tecnologie che rastrella milioni di dollari in pubblicità. Arrington, che è ingrassato di 15 chili in tre anni, ha attribuito allo stress da blog il fatto che ora soffre gravemente di insonnia: «Sono arrivato a un punto di rottura». Non è da oggi che i blogger denunciano pubblicamente contraccolpi fisici del loro mestiere: è un leit motiv dei diaristi online lamentarsi della fatica perennemente in agguato per chi passa buona parte della giornata e spesso della notte a smanettare sul computer a caccia di informazione.

Molti blogger sono pagati a pezzo, altri a numero di lettori, in una gerarchia retributiva che ripaga lo scoop anche se appena di pochi minuti. La velocità in questi casi è tutto: «Non c'è una volta, neanche quando dormi, che non ti viene l'ansia di avere preso un buco», ha detto Addington al New York Times. Tanto i blogger sono consapevoli dei rischi del mestiere che alcuni di loro hanno preso a scambiarsi consigli su come farvi fronte. Un mese fa su Problogger.com l'australiano Darren Rowse, che contribuisce a una ventina di blog oltre ai due da lui curati, ha offerto ai suoi lettori un piccolo manuale di sopravvivenza: tra i consigli, quello di «tagliare le catene della scrivania» e «tornare a buttar giù idee su taccuini di carta».

sabato 5 aprile 2008

Ratzinger: aborto e divorzio sono colpe gravi, ma le persone vanno aiutate a riprendersi

Il Papa invita la Chiesa ad «accostarsi con attenzione materna e delicatezza a chi ne porta le ferite interiori»

Benedetto XVI
CITTÀ DEL VATICANO - Il divorzio e l'aborto restano «colpe gravi», ma la Chiesa deve «accostarsi con amore e delicatezza, con premura e attenzione materna alle persone che ne portano le ferite interiori e cercano la possibilità di una ripresa». Lo ha spiegato il Papa in Vaticano ai partecipanti al congresso L’olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio. Secondo Benedetto XVIaborto e divorzio «ledono la dignità della persona umana, implicano una profonda ingiustizia nei rapporti umani e sociali e offendono Dio stesso, garante del patto coniugale e autore della vita».

CONGIURA DEL SILENZIO - Divorzio e aborto, che per il pontefice comportano «tanta sofferenza nella vita delle persone, delle famiglie e della società», oggi nel mondo sono circondati da «una congiura del silenzio ideologica. In un contesto culturale segnato da un crescente individualismo, dall’edonismo e da mancanza di solidarietà e di adeguato sostegno sociale, la libertà umana, di fronte alle difficoltà della vita, è portata nella sua fragilità a decisioni in contrasto con l’indissolubilità del patto coniugale o con il rispetto dovuto alla vita umana appena concepita e ancora custodita nel seno materno», ha affermato Joseph Ratzinger. «Divorzio e aborto sono scelte di natura certo differente, talvolta maturate in circostanze difficili e drammatiche, che comportano spesso traumi e sono fonte di profonde sofferenze in chi le compie», ma, nei confronti di chi se ne macchia, dice il Papa, la Chiesa deve «accostarsi con amore e delicatezza, con premura e attenzione materna. Gli uomini e le donne dei nostri giorni si trovano talvolta spogliati e feriti, ai margini delle strade che percorriamo, spesso senza che nessuno ascolti il loro grido di aiuto e si accosti alla loro pena, per alleviarla e curarla. Nel dibattito, spesso puramente ideologico, si crea nei loro confronti una specie di congiura del silenzio».

mercoledì 2 aprile 2008

"El islam legitima el terror" afirma Magdi Allam


autore: Elisabetta Piqué (La Naciòn, 31 marzo 2008)
Magdi Cristiano Allam, el periodista musulmán que saltó a la fama mundial después de haber sido bautizado por el Papa durante la última vigilia pascual, llega con tres autos negros blindados y con los vidrios polarizados.
La cita para la entrevista con La Nacion es en la Sede de la Prensa Extranjera, en el corazón de Roma. Tres guardaespaldas lo acompañan hasta una habitación del primer piso mirando hacia todos lados, atentos a cada movimiento. No lo dejan solo ni un minuto, incluso durante la entrevista.
No es extraño. Magdi Allam, nacido en Egipto hace 55 años, escritor, columnista y subdirector del diario Corriere della Sera, vive custodiado desde hace cinco años, tras haber recibido varias amenazas de muerte por sus críticas al extremismo islámico y por su acérrima defensa de Israel.
Tras haber sido bautizado por el mismo Papa en una ceremonia solemne en la basílica de San Pedro televisada a todo el mundo, hace una semana, su vida corre aún más peligro.

Fue definido "un apóstata que debe irse al infierno", un "enemigo del islam".

Allam, un hombre menudo, de anteojos, mirada dulce, piel color aceituna, en la entrevista explicó que decidió convertirse porque llegó a la conclusión de que "el islam es una religión negativa que legitimiza la violencia y el terrorismo".

"Considero que lo que hice, y no hubo ninguna planificación, fue justo, fue un bien, y creo que el Papa fue extremadamente sabio en haber hecho prevalecer las razones de la fe sobre las consideraciones diplomáticas y políticas, porque éste es su deber, y que también fue valiente", sostuvo.

-¿Por qué se convirtió al catolicismo?

-Fue un camino gradual y lento. Desde niño conocí el mundo católico porque fui a escuelas italianas católicas en El Cairo -primero en un jardín de monjas, después en un colegio de sacerdotes salesianos, donde era pupilo-, y esto me permitió conocer desde el interior y en modo correcto la realidad de la religión católica. Pero hubo otros dos factores que incidieron en mi conversión: el primero fue el hecho de haber sido amenazado a partir de 2003. Esto me obligó a reflexionar no sólo sobre la realidad del extremismo y del terrorismo islámico, sino también sobre el islam como religión, a partir del momento en que estos extremistas y terroristas islámicos hacen lo que hacen en nombre del islam. Me vi obligado a analizar el Corán y la obra y el pensamiento de Mahoma y descubrí que hay profundas ambigüedades que permiten legitimizar la violencia y el terrorismo.

-¿El segundo factor?

-El segundo factor fue haber conocido a varios católicos con los que me encontré en perfecta sintonía, ya que compartíamos los valores. Por supuesto la persona que más influyó en la conversión fue este papa, Benedicto XVI, a quien nunca había visto personalmente antes del bautismo, en la vigilia de Pascua.

-¿Esa fue la primera vez que estuvo con él?

-Sí, la primera y única vez.

-Según lo que escribió en el Corriere della Sera, para usted fue determinante el famoso discurso del Papa en la Universidad de Ratisbona, Alemania...

-Como periodista, yo seguí toda la actividad de Benedicto XVI y quedé totalmente fascinado por su pensamiento. Compartí plenamente su concepción de indisolubilidad entre fe y razón. Siempre me fascinó este papa porque no sólo es un gran hombre de fe, sino también un gran hombre de razón. Creo que muchos temen al Papa no por su fe, sino por su razón, por su capacidad de desafiarlos en el terreno de la razón.

-Ya viviendo amenazado de muerte y con escolta policial desde 2003 y sabiendo que iba a crear gran impacto mediático, ¿por qué pidió ser bautizado por el Papa?

-Yo no pedí ser bautizado por el Papa. Yo hace un año hablé confidencialmente con monseñor Rino Fisichella, rector de la Universidad Lateranense, y con él comencé un camino espiritual de iniciación a los sacramentos del cristianismo. En el curso de este camino surgió la posibilidad de que el bautismo fuera realizado por el Papa. Dicho esto, estoy realmente azorado y dolido, porque hay católicos que reaccionaron diciendo "¿por qué no se hizo bautizar en una pequeña parroquia por un sacerdote cualquiera?". Lo que leo entre líneas es una crítica al bautismo de Magdi Allam por cómo fue hecho, como si fuera una vergüenza, porque habría podido hacerse de modo discreto y reservado. Y la actitud del Papa es considerada una provocación. Lo que yo digo es que estoy muy orgulloso de haberme convertido, de que esto se haya hecho público y de que yo pueda afirmarlo de viva voz. Y considero que haber recibido el bautismo del Papa es el don más grande que la vida pudo darme y que fue un testimonio muy útil para muchos musulmanes que conozco que se convirtieron aquí en Italia, pero que viven su nueva fe en el secreto porque tienen miedo. Considero que lo que hice, y no hubo ninguna planificación, fue justo, fue un bien, y creo que el Papa fue extremadamente sabio en haber hecho prevalecer las razones de la fe sobre las consideraciones diplomáticas y políticas, porque éste es su deber, y que también fue valiente.

-En una declaración, sin embargo, el Vaticano pareció distanciarse...

-En esa declaración no hay ninguna toma de distancia, sino que dice que Magdi Allam es libre de expresar sus propias valoraciones, pero sus opiniones no representan las opiniones del Papa, y esto es totalmente cierto, faltaría más. Pero nunca dijo que "nosotros condenamos lo que Magdi Allam dice". La verdad es que lo que hay ahora es una operación para desacreditarme a mí y para atacar al Papa.

-¿Por qué usted cree que no existe un islam moderado?

-Hay que distinguir al islam como religión y a los musulmanes como personas. Si yo decidí convertirme, es totalmente obvio que lo hice porque maduré una valoración negativa del islam. Si yo pensara que el islam es una religión verdadera y buena, no me habría convertido, habría seguido siendo un musulmán. Pero nosotros vivimos en una Europa que está enferma de relativismo y que está sometida a lo políticamente correcto. Entonces hay que decir que todas las religiones son iguales, prescindiendo de sus contenidos, y no hay que decir nada que pueda hurtar la susceptibilidad de los demás. Pero yo rechazo esto porque creo que el ejercicio de la libertad de expresión no puede ser limitado. Y digo lo que pienso.

martedì 1 aprile 2008

"Con i Castro Cuba non sarà mai libera"

Intervista ad Armando Valladares di Stefano Magni Pubblicata sul quotidiano l'Occidentale

C’è uno strano ottimismo sul futuro di Cuba. Sembra che con l’arrivo al potere di Raul Castro si aprano possibilità di riforme e di apertura nella più longeva dittatura comunista dell’emisfero occidentale. Il dissidente Armando Valladares non la pensa così. “Raul Castro vuole mantenere lo status quo. E non gode di molte simpatie presso cupola che detiene il potere a L’Avana. La sua esperienza durerà finché vive Fidel Castro, ma, morto il lìder maximo, la prima vittima sarà proprio suo fratello”.

Valladares conosce molto bene le dinamiche totalitarie del regime di Cuba, perché le ha vissute sulla sua pelle. Nel 1959, mentre il mondo intero considerava Fidel Castro un sincero rivoluzionario democratico, l’impiegato delle poste Valladares veniva accusato per la sua fede cattolica e per il suo rifiuto tassativo di aderire alla dottrina marxista del nuovo potere. Fu segnalato alla polizia politica per un semplice gesto di dissenso: l’essersi rifiutato di applicare alla sua scrivania una targhetta con lo slogan propagandistico “Se Fidel Castro è comunista, inseritemi nella lista perché la penso come lui”. Considerato elemento recalcitrante, iniziò il suo inferno: ventidue anni nelle carceri cubane dopo un processo sommario. Mentre il mondo inneggiava alla figura rivoluzionaria di Che Guevara, eletto a nuovo idolo dalle masse progressiste, Valladares assisteva alle continue persecuzioni ed esecuzioni capitali nella prigione diretta dal “Che”, l’antico carcere di La Cabana, trasformato in un centro di detenzione e smistamento dei prigionieri politici. Mentre il mondo progressista salutava con gioia la vittoria militare dei castristi contro “i Cubani di Miami” nella Baia dei Porci, Valladares si trovava nel carcere “modello” di Isla de Pinos, seduto su tonnellate di esplosivo: in caso di vittoria degli esuli anti-castristi, gli aguzzini del regime avevano l’ordine di far saltare in aria il carcere per ammazzare tutti i prigionieri.

Mentre i progressisti, in Europa come a Hollywood, sognavano il paradiso cubano, Valladares viveva un inferno in terra, fatto di lunghi periodi in cella di rigore e isolamento, percosse, torture, lavori forzati. La sua pena divenne sempre più dura man mano che rifiutava il programma di rieducazione “offerto” dal regime. La sua fede e la convinzione di essere dalla parte del giusto, gli permisero di vincere la sua battaglia di resistenza individuale. Il suo libro di memorie dal “fondo delle carceri cubane”, intitolato Contro ogni speranza (ora edito per la seconda volta in Italia dalla casa editrice Spirali, dopo una prima edizione di SugarCo del 1987), aprì gli occhi dell’opinione pubblica mondiale sui crimini del castrismo. Ronald Reagan fu tra i suoi lettori e lo nominò ambasciatore per gli Stati Uniti presso la Commissione per i Diritti Umani dell’Onu, un ruolo che gli permise di combattere la sua lotta in difesa dei perseguitati politici cubani.

La prima cosa che Valladares ci mostra, in occasione della presentazione di Contro ogni speranza, è una vecchia foto. Si riconosce distintamente Raul Castro nell’atto di uccidere un prigioniero politico con un colpo di pistola alla nuca.

Raul Castro, appena arrivato al potere promette riforme e concede ai cubani di tenere anche un computer e una televisione. Ci dobbiamo attendere cambiamenti o è solo propaganda?
Non è cambiato nulla. Ogni giorno che passa, a Cuba vanno sempre meno turisti. Soprattutto a causa delle nuove leggi statunitensi che restringono ulteriormente la possibilità di recarsi sull’isola, complicando la procedura per ottenere un visto. Ora un cittadino americano può visitare Cuba solo una volta ogni tre anni e il denaro che si può portare dietro è limitato. Ma il regime ha bisogno di valuta straniera, di dollari. Questi elettrodomestici che si vendono adesso si vendono solo in dollari. E’ incredibile come il mondo intero dia così tanta importanza a un fatto così banale. Sembra quasi che il regime cubano abbia conquistato la Luna, ma la realtà è che dopo quasi cinquant’anni di dittatura i cubani potranno comprare una televisione in bianco e nero. Un operaio deve lavorare almeno quattro anni prima di potersi permettere un televisore. Oppure possono comprarsi un computer, ma senza Internet, perché per un allacciamento occorre un permesso speciale. E poi, siamo seri: che gran bella conquista poter comprare un forno a microonde all’alba del 2008! Quanto alla libertà politica, non c’è alcun cambiamento. Quando tutti pensavano che Carlos Lahe, uno aperto alle riforme, potesse diventare la figura più importante, l’hanno messo da parte. Raul, invece, ha scelto come suo vice uno dei pochi stalinisti puri rimasti nel mondo: Machado Ventura. E questo è già un messaggio più che esplicito. Due settimane fa, il ministro degli Esteri Felipe Perez Roque ha firmato due trattati internazionali per la tutela dei diritti umani (che includono anche il diritto di voto, di emigrazione e di assemblea, ndr), ma una settimana dopo la firma di questi accordi un gruppo di cittadini cubani è stato malmenato solo perché sventolava copie della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. C’è più repressione adesso che tre mesi fa.

Quando Lei fu arrestato, Castro non si definiva neppure marxista, ma stava portando a termine la sovietizzazione dell’isola. Crede che vi sia un’operazione simile di dissimulazione anche in questi mesi?
No, non credo che vi sia disinformazione in questi giorni. Perché il messaggio di Raul Castro e di Machado Ventura è chiarissimo ed esplicito: se non accettate il regime, noi vi schiacciamo. Due ragazzi che stavano solo chiedendo perché non poter uscire da Cuba, sono stati arrestati. Solo perché avevano fatto una domanda. Non erano dissidenti, non volevano compiere atti ‘sovversivi’, si sono dichiarati dei socialisti convinti quando sono stati fatti comparire in televisione.

Perché la stampa occidentale è così ottimista per Cuba?
E’ un atteggiamento interessato. Milioni di persone vogliono mantenere intatto questo ultimo baluardo del comunismo nel mondo, a costo di giustificare o nascondere quasi cinquant’anni di crimini. In realtà non esiste alcuna prova che dimostri che sia in corso un’opera di riforma. L’appoggio al castrismo, per buona parte dell’opinione pubblica, è un modo per veicolare l’odio nei confronti degli Stati Uniti. Castro è stato un nemico giurato degli Usa, vicino alle loro coste. Ha combattuto contro Washington, sia realmente che facendo molto teatro. Si diceva che vi sarebbe stato un cambiamento anche dieci anni fa, quando il Papa Giovanni Paolo II aveva dichiarato che ‘Cuba si aprirà al mondo e il mondo si aprirà a Cuba’. La gente se lo aspettava veramente, ma sono passati dieci anni: il mondo si è aperto a Cuba, ma Cuba è ancora chiusa.

Proprio a proposito della visita del Papa, Lei ha contestato, le dichiarazioni del cardinal Bertone sul regime. Perché i cattolici hanno questo atteggiamento, secondo Lei?
La Chiesa che ignora e nasconde i suoi martiri non è una vera Chiesa. E la Chiesa di Cuba è quella del silenzio e della complicità. Io ricordo quando Monsignor Zacchi visitò Cuba e dichiarò che Castro era un uomo “profondamente cristiano”. Proprio in quel momento, i cristiani venivano fucilati nel carcere di La Cabana e gridavano ‘Viva Cristo Re, abbasso il comunismo!’ prima di essere uccisi. Se Castro era un uomo dai valori profondamente cristiani, allora che cosa erano quei martiri che si facevano uccidere pur di non rinunciare alla loro fede? Castro ha detto più volte che si può essere cattolici e militanti comunisti, ma sarebbe come voler avere una donna che è vergine e prostituta allo stesso tempo. Un cattolico non può essere comunista.

Sono già passati cinquanta anni di comunismo e di scristianizzazione. Il marxismo è la filosofia di vita ufficiale per ogni cittadino. Ma i cubani sono dei marxisti convinti, o hanno conservato principi cristiani?
Per Dio nulla è impossibile. In questi anni le chiese protestanti sono state molto attive e hanno conquistato molti nuovi fedeli. E moltissimi sono tornati a praticare la religione cattolica. Non si è persa la spiritualità cristiana. Quanto al marxismo, non direi proprio che è diventata una filosofia popolare a Cuba. Basti vedere che quando hanno permesso ai cittadini di uscire dal paese tramite l’ambasciata del Perù nel 1980, sono uscite 125.000 persone, la metà delle quali era nata a Cuba dopo la rivoluzione nel 1959. Mezzo milione di persone ha fatto richiesta all’Ufficio degli Interessi Americani per lasciare l’isola. Siccome l’accordo è per 20.000 persone all’anno, ci vorranno più di vent’anni per accontentare tutti. Cuba è un paese di 11 milioni di abitanti e più di 2 milioni vivono all’estero. Sette giocatori della squadra di calcio cubana hanno abbandonato il paese. Queste sono solo alcune delle prove che dimostrano come il popolo non accetti il marxismo.

Nel suo libro cita esempi di cittadini fuggiti in Messico e rimandati a Cuba. Come vengono accolti i profughi cubani negli altri paesi? Quanto è difficile ottenere lo status di rifugiato politico?
In genere c’è un rifiuto generale dei profughi cubani, non solo in Messico, ma anche nelle Bahamas (con cui pure c’è qualche accordo). La maggioranza dei paesi vicini rifiuta l’emigrazione, con l’unica eccezione degli Stati Uniti. Ma, anche in questo caso, con regole molto severe: sei salvo e ottieni l’asilo politico, solo quando sei ‘all’asciutto’, quando sei riuscito a sbarcare sul suolo americano. Pochi metri di nuoto o di navigazione possono fare la differenza. Sembra un gioco sadico.

In Contro ogni speranza Lei descrive condizioni delle carceri cubane simili a un inferno dantesco. Oggi, a venticinque anni dalla sua uscita dall’isola, sono ancora così le carceri di Cuba?
La cosa più terribile è che la gente continua ad andare in prigione solo per aver espresso la propria opinione. L’ultima famosa ‘ola represiva’ del 2003, ha portato in carcere giornalisti che non facevano altro che descrivere la realtà di Cuba. Amnesty International denuncia che a Cuba non ci sono processi equi e maltrattamenti di certi prigionieri politici nelle carceri, come il medico Oscar Elia Biscet, in cella di rigore e nel più completo isolamento da quando è stato arrestato. Certo, ci si può credere o si può anche non voler credere. Ai tempi di Stalin, il ministro francese André Malraux e il vicepresidente americano Henry Wallace, si sono recati in visita in Unione Sovietica e, tornando a casa, entrambi hanno dichiarato che tutto quel che si diceva sui crimini di Stalin era solo frutto di illazioni, che Stalin era solo un vecchietto bonario che stava cercando di modernizzare il suo paese. In quegli anni, quel “vecchietto” aveva già sterminato più di 20 milioni di cittadini sovietici. Però faceva vedere agli ospiti solo quello che voleva lui, ricostruendo e riverniciando le facciate delle case nei villaggi dove passavano, creando paesaggi idilliaci ad uso e consumo degli stranieri. Oggi nessuno mette in dubbio i crimini di Stalin, ma si è dovuto attendere che fosse un altro comunista, Nikita Chrushev, a denunciarli pubblicamente. Per Cuba, io sono convinto che il mondo potrà conoscere i crimini del castrismo e indignarsi solo quando la dittatura cadrà. E in quel momento molta gente si vergognerà.

Quando pubblicò il suo libro per la prima volta, la gente le credette?
Nessuno credette a quel che avevo scritto. Mi dicevano che era solo propaganda, che era stato scritto dalla Cia per screditare Castro. Quando sono stato nominato ambasciatore per Diritti Umani all’Onu, per volontà del presidente Ronald Reagan, ho mandato sei ispettori a Cuba a investigare sulla realtà che avevo descritto. Tutto venne documentato e provato. Chiunque voglia andare a verificare se quello che dico è vero, può andare alla sede della Commissione dei Diritti Umani a Ginevra. E’ stato solo con la pubblicazione delle mie memorie che la gente ha iniziato a realizzare che a Cuba c’era repressione, che c’erano desaparecidos e torture nelle carceri, che i prigionieri politici venivano condannati senza processo.

Cosa pensa del fatto che Cuba è un membro del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu?
E’ uno scherzo. Sarebbe come affidare a Hitler la sicurezza della comunità ebraica. O affidare un asilo infantile a Erode.

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