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martedì 25 settembre 2007

Afghanistan: gli italiani fanno la guerra e il Prc minaccia il governo

di Carlo Panella
Gennaro Migliore ha chiarito in Parlamento –sia pure con tatto- il senso di quanto è accaduto realmente in Afghanistan, là dove i nostri due militari erano stati palesemente impegnati in azione di vera e propria guerra –probabilmente per impedire rifornimenti di armi iraniane ai Talebani- e non in azione “di copertura” e tantomeno umanitaria.Lo strano, stranissimo rifiuto di Arturo Parisi di comunicarne i nomi al Parlamento conferma questo quadro. Non si tratta di agenti del Sismi, ma di membri dell’esercito ormai fuori dal teatro operativo. Non dichiararne le generalità ha un significato solo: la loro azione non era verbalizzata nei ruolini. Il segreto di Stato copre l’azione, dunque ed è invocato –questo è gravissimo- solo e unicamente perché l’attuale maggioranza di governo non può tollerare di sapere quel che autorevoli testimoni sanno e dicono riservatamente: in Afghanistan nostri uomini compiono azioni di commando, combattono in pieno la guerra, e questa è la ragione per cui gli alleati sopportano le bizze verbali del nostro governo “pacifista”. Migliore è stato dunque inequivocabile: “"Non condivido l'idea che vi possano essere dei “caveat” diversi per il nostro esercito. Perché se si modificasse la regola d'ingaggio per i nostri militari e si associassero alle operazioni belliche, i rischi a cui andrebbero incontro gli italiani sarebbero ancora maggiori”. Con ottime doti da equilibrista, dunque, il capogruppo di Prc ha avvisato il governo che sa tutto e che oggi tace, ma solo perché l’azione è tutto sommato finita bene, ma che non tollererà altri episodi simili.

Ma il punto politico della giornata è ancora più grave. Mentre infatti il comando Isaf preparava l’azione di liberazione armata degli ostaggi –preparazione ovviamente iniziata almeno domenica mattina- il nostro ministro degli Esteri annunciava domenica sera, urbi et orbi, di avere chiesto formalmente e direttamente, la mediazione di Manoucher Mottaki, ministro degli esteri dell’Iran.

D’Alema scrive sempre lo stesso libro e impiega lo stesso schema. Per Mastrogiacomo si appoggiò –sciaguratamente- su un aperto estimatore dei Talebani rapitori e un avversario politico aperto dell’azione Isaf. Per i due soldati prigionieri, si è rivolto al padrino dichiarato dei Talebani rapitori, al rappresentante del paese che fornisce loro le armi, proprio in quella zona, come rivelò il Washington Post il 6 settembre e hanno confermato le agenzie dello stesso 22 settembre. Giorno in cui sono stati intercettate armi iraniane –la coincidenza con la azione in cui sono stati catturati gli italiani non è, ovviamente, casuale- fornite proprio ai Talebani della provincia di Farah, tra queste, mine antiuomo iraniane usate proprio oggi nell’attentato mortale contro i militari spagnoli.

Rivolgersi pubblicamente –non riservatamente, questo è il punto- a Mottaki, significa essere pronti a pagare il prezzo politico che il padrino dei Talebani avrebbe potuto esigere una volta ottenuto il risultato. Così è andata con Gino strada. Così D’Alema ha scelto che andasse anche in questo caso, pronto a pagare un prezzo politico e quindi, come ha già fatto più volte assieme a Romano Prodi, a incrinare la solidarietà europea e atlantica nell’azione contro l’Iran e i suoi programmi nucleari.

Ma mentre D’Alema tesseva la sua tela –al solito- è stato spiazzato da un comando Isaf che ormai ben conosce il trasformismo cinico del governo Prodi (pubblicamente criticato per la gestione del caso Mastrogiacomo) e che ha subito dato un taglio netto a tutte le disponibilità italiane, chiaramente espresse, di pagare riscatti di ogni tipo. Il tutto, mentre cresceva l’irritazione di Arturo Parisi nei confronti di D’Alema –il nostro ministro della Difesa è nettamente schierato, solidarmente con l’Isaf- che ha voluto farla trapelare –al solito- attraverso il Corriere della Sera (come già fece criticando apertamente la gestione del caso Mastrogiacomo).

Paradossalmente, per la prima volta, è stato applicato l’articolo 11 della Costituzione che, al ripudio la guerra –ma non in generale, come si dice, ma solo limitatamente a quella d’aggressione- subito dopo affianca una frase decisiva, che ne ribalta il senso, in situazioni quali l’Afghanistan e l’Iraq, aggiungendo che la Repubblica italiana “consente alle limitazioni di sovranità (..) necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.”

Dunque, il governo italiano ha compiuto una scelta limpida e coraggiosa, ma solo perché non ha deciso da solo, solo perché ha ceduto sovranità all’Isaf. Solo perché ha dato il suo assenso –dovuto- ad una decisione del comando militare americano.

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