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giovedì 1 novembre 2007

Il triste spettacolo di un governo in fuga da se stesso

Quando Prodi e il suo governo hanno preso il timone del paese sapevamo che non ci sarebbero piaciuti. Conoscevamo in anticipo il sapore della zuppa che ci avrebbero somministrato: tasse, prediche anti-evasione, una politica estera irenista e codina, un po’ di zapaterismo de’ noantri, sindacalismo a iosa e una buona dose di revanchismo anti-berlusconiano come condimento.

Quello che non potevamo aspettarci a un anno e mezzo dalle elezioni è invece il completo stato confusionale del governo e delle forze che lo sostengono, la sensazione di una compagine allo sbando, arresa al peggio e senza alcuna capacità di recupero.

Non c’è traccia, a solo un anno e mezzo da quella mezza vittoria, di quel minimio di affidabilità, di “saper fare”, di senso delle istituzioni, di cui i vincitori si vantavano ampiamente e che in genere si era disposti a concedergli.

A guardare il campo di battaglia parlamentare di questi giorni, dalla batosta in Commissione di Vigilanza, alle sconfitte a ripetizione nei voti al Senato sulla finanziaria, viene davvero da chiedersi chi ci sia alla guida. Che fine hanno fatto le intelligenze sopraffine di cui il centro-sinistra si considera esclusivista? Dov’è Massimo D’Alema; a che pensa Piero Fassino; cosa medita Giuliano Amato; come si sente Tommaso Padoa Schioppa; che cosa ha in testa Romano Prodi; a che gioco gioca Veltroni? E tutti gli altri cavalli di razza: Bersani, Letta, Rutelli, Parisi, Marini, che dicono, che fanno?

Non ce n’è uno che sembri avere un’idea, che azzardi un colpo di timone, una manovra per salvare il bastimento. Sono tutti già in lotta per accaparrarsi le scialuppe e trovarsi con le mani libere da colpe e responsabilità quando tutto andrà a fondo.


Gli italiani che hanno votato per l’Unione, magari in fuga dall’improvvisazione e dalla poca dimestichezza del centro-destra, oggi non credono ai loro occhi e i 5 anni di Berlusconi trasfigurano nella memoria come un culmine di buon governo. Ho amici di sinistra che sarebbero pronti a rivalutare anche la legge Gasparri, per non parlare di quelle Castelli, Moratti o Maroni.

Quello che più colpisce in questo disastro quasi più umano che politico è l’uomo nuovo, Walter Veltroni. Colui che doveva planare come un’ala salvatrice sulla tempesta e rischiarare la rotta. Invece è lì che cincischia, che non sceglie, sempre incerto tra la via più facile e quella più conveniente. Vuole e disvuole, dissimula: dice di non voler votare con questa legge elettorale ma intanto fa i conti per capire quanti uomini suoi può piazzare con le liste bloccate e quante regioni può recuperare con il premio regionale del Senato. Preferisce perdere senza colpe che tentare una vittoria mettendosi in gioco. La sua totale indecisione fa sì che oggi un autorevole quotidiano gli attribuisca un asse con Bertinotti per il governo istituzionale e un altro – altrettanto autorevole – lo descrive alleato di Prodi per il voto subito.

Intanto la maggioranza perde pezzi, va sotto un voto sì e uno no, sempre in attesa dello scivolone decisivo che travolga tutto. Il dopo-Prodi è già cominciato, e si galleggia in un limbo comatoso e malinconico. Tanto che la spallata dell’opposizione oggi è sembra attesa come il pietoso intervento di chi pone fine all’accanimento terapeutico.

Dicono che Berlusconi aspetti solo il momento giusto per calare il suo poker d’assi e assestare il colpo di grazia al governo. Quel momento sembra arrivato e gli stessi che ieri lo accusavano di bluffare oggi sperano che sia tutto vero.

di Giancarlo Loquenzi

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