Intervista ad Armando Valladares di Stefano Magni Pubblicata sul quotidiano l'Occidentale
C’è uno strano ottimismo sul futuro di Cuba. Sembra che con l’arrivo al potere di Raul Castro si aprano possibilità di riforme e di apertura nella più longeva dittatura comunista dell’emisfero occidentale. Il dissidente Armando Valladares non la pensa così. “Raul Castro vuole mantenere lo status quo. E non gode di molte simpatie presso cupola che detiene il potere a L’Avana. La sua esperienza durerà finché vive Fidel Castro, ma, morto il lìder maximo, la prima vittima sarà proprio suo fratello”.
Valladares conosce molto bene le dinamiche totalitarie del regime di Cuba, perché le ha vissute sulla sua pelle. Nel 1959, mentre il mondo intero considerava Fidel Castro un sincero rivoluzionario democratico, l’impiegato delle poste Valladares veniva accusato per la sua fede cattolica e per il suo rifiuto tassativo di aderire alla dottrina marxista del nuovo potere. Fu segnalato alla polizia politica per un semplice gesto di dissenso: l’essersi rifiutato di applicare alla sua scrivania una targhetta con lo slogan propagandistico “Se Fidel Castro è comunista, inseritemi nella lista perché la penso come lui”. Considerato elemento recalcitrante, iniziò il suo inferno: ventidue anni nelle carceri cubane dopo un processo sommario. Mentre il mondo inneggiava alla figura rivoluzionaria di Che Guevara, eletto a nuovo idolo dalle masse progressiste, Valladares assisteva alle continue persecuzioni ed esecuzioni capitali nella prigione diretta dal “Che”, l’antico carcere di La Cabana, trasformato in un centro di detenzione e smistamento dei prigionieri politici. Mentre il mondo progressista salutava con gioia la vittoria militare dei castristi contro “i Cubani di Miami” nella Baia dei Porci, Valladares si trovava nel carcere “modello” di Isla de Pinos, seduto su tonnellate di esplosivo: in caso di vittoria degli esuli anti-castristi, gli aguzzini del regime avevano l’ordine di far saltare in aria il carcere per ammazzare tutti i prigionieri.
Mentre i progressisti, in Europa come a Hollywood, sognavano il paradiso cubano, Valladares viveva un inferno in terra, fatto di lunghi periodi in cella di rigore e isolamento, percosse, torture, lavori forzati. La sua pena divenne sempre più dura man mano che rifiutava il programma di rieducazione “offerto” dal regime. La sua fede e la convinzione di essere dalla parte del giusto, gli permisero di vincere la sua battaglia di resistenza individuale. Il suo libro di memorie dal “fondo delle carceri cubane”, intitolato Contro ogni speranza (ora edito per la seconda volta in Italia dalla casa editrice Spirali, dopo una prima edizione di SugarCo del 1987), aprì gli occhi dell’opinione pubblica mondiale sui crimini del castrismo. Ronald Reagan fu tra i suoi lettori e lo nominò ambasciatore per gli Stati Uniti presso la Commissione per i Diritti Umani dell’Onu, un ruolo che gli permise di combattere la sua lotta in difesa dei perseguitati politici cubani.
La prima cosa che Valladares ci mostra, in occasione della presentazione di Contro ogni speranza, è una vecchia foto. Si riconosce distintamente Raul Castro nell’atto di uccidere un prigioniero politico con un colpo di pistola alla nuca.
Raul Castro, appena arrivato al potere promette riforme e concede ai cubani di tenere anche un computer e una televisione. Ci dobbiamo attendere cambiamenti o è solo propaganda?
Non è cambiato nulla. Ogni giorno che passa, a Cuba vanno sempre meno turisti. Soprattutto a causa delle nuove leggi statunitensi che restringono ulteriormente la possibilità di recarsi sull’isola, complicando la procedura per ottenere un visto. Ora un cittadino americano può visitare Cuba solo una volta ogni tre anni e il denaro che si può portare dietro è limitato. Ma il regime ha bisogno di valuta straniera, di dollari. Questi elettrodomestici che si vendono adesso si vendono solo in dollari. E’ incredibile come il mondo intero dia così tanta importanza a un fatto così banale. Sembra quasi che il regime cubano abbia conquistato la Luna, ma la realtà è che dopo quasi cinquant’anni di dittatura i cubani potranno comprare una televisione in bianco e nero. Un operaio deve lavorare almeno quattro anni prima di potersi permettere un televisore. Oppure possono comprarsi un computer, ma senza Internet, perché per un allacciamento occorre un permesso speciale. E poi, siamo seri: che gran bella conquista poter comprare un forno a microonde all’alba del 2008! Quanto alla libertà politica, non c’è alcun cambiamento. Quando tutti pensavano che Carlos Lahe, uno aperto alle riforme, potesse diventare la figura più importante, l’hanno messo da parte. Raul, invece, ha scelto come suo vice uno dei pochi stalinisti puri rimasti nel mondo: Machado Ventura. E questo è già un messaggio più che esplicito. Due settimane fa, il ministro degli Esteri Felipe Perez Roque ha firmato due trattati internazionali per la tutela dei diritti umani (che includono anche il diritto di voto, di emigrazione e di assemblea, ndr), ma una settimana dopo la firma di questi accordi un gruppo di cittadini cubani è stato malmenato solo perché sventolava copie della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. C’è più repressione adesso che tre mesi fa.
Quando Lei fu arrestato, Castro non si definiva neppure marxista, ma stava portando a termine la sovietizzazione dell’isola. Crede che vi sia un’operazione simile di dissimulazione anche in questi mesi?
No, non credo che vi sia disinformazione in questi giorni. Perché il messaggio di Raul Castro e di Machado Ventura è chiarissimo ed esplicito: se non accettate il regime, noi vi schiacciamo. Due ragazzi che stavano solo chiedendo perché non poter uscire da Cuba, sono stati arrestati. Solo perché avevano fatto una domanda. Non erano dissidenti, non volevano compiere atti ‘sovversivi’, si sono dichiarati dei socialisti convinti quando sono stati fatti comparire in televisione.
Perché la stampa occidentale è così ottimista per Cuba?
E’ un atteggiamento interessato. Milioni di persone vogliono mantenere intatto questo ultimo baluardo del comunismo nel mondo, a costo di giustificare o nascondere quasi cinquant’anni di crimini. In realtà non esiste alcuna prova che dimostri che sia in corso un’opera di riforma. L’appoggio al castrismo, per buona parte dell’opinione pubblica, è un modo per veicolare l’odio nei confronti degli Stati Uniti. Castro è stato un nemico giurato degli Usa, vicino alle loro coste. Ha combattuto contro Washington, sia realmente che facendo molto teatro. Si diceva che vi sarebbe stato un cambiamento anche dieci anni fa, quando il Papa Giovanni Paolo II aveva dichiarato che ‘Cuba si aprirà al mondo e il mondo si aprirà a Cuba’. La gente se lo aspettava veramente, ma sono passati dieci anni: il mondo si è aperto a Cuba, ma Cuba è ancora chiusa.
Proprio a proposito della visita del Papa, Lei ha contestato, le dichiarazioni del cardinal Bertone sul regime. Perché i cattolici hanno questo atteggiamento, secondo Lei?
La Chiesa che ignora e nasconde i suoi martiri non è una vera Chiesa. E la Chiesa di Cuba è quella del silenzio e della complicità. Io ricordo quando Monsignor Zacchi visitò Cuba e dichiarò che Castro era un uomo “profondamente cristiano”. Proprio in quel momento, i cristiani venivano fucilati nel carcere di La Cabana e gridavano ‘Viva Cristo Re, abbasso il comunismo!’ prima di essere uccisi. Se Castro era un uomo dai valori profondamente cristiani, allora che cosa erano quei martiri che si facevano uccidere pur di non rinunciare alla loro fede? Castro ha detto più volte che si può essere cattolici e militanti comunisti, ma sarebbe come voler avere una donna che è vergine e prostituta allo stesso tempo. Un cattolico non può essere comunista.
Sono già passati cinquanta anni di comunismo e di scristianizzazione. Il marxismo è la filosofia di vita ufficiale per ogni cittadino. Ma i cubani sono dei marxisti convinti, o hanno conservato principi cristiani?
Per Dio nulla è impossibile. In questi anni le chiese protestanti sono state molto attive e hanno conquistato molti nuovi fedeli. E moltissimi sono tornati a praticare la religione cattolica. Non si è persa la spiritualità cristiana. Quanto al marxismo, non direi proprio che è diventata una filosofia popolare a Cuba. Basti vedere che quando hanno permesso ai cittadini di uscire dal paese tramite l’ambasciata del Perù nel 1980, sono uscite 125.000 persone, la metà delle quali era nata a Cuba dopo la rivoluzione nel 1959. Mezzo milione di persone ha fatto richiesta all’Ufficio degli Interessi Americani per lasciare l’isola. Siccome l’accordo è per 20.000 persone all’anno, ci vorranno più di vent’anni per accontentare tutti. Cuba è un paese di 11 milioni di abitanti e più di 2 milioni vivono all’estero. Sette giocatori della squadra di calcio cubana hanno abbandonato il paese. Queste sono solo alcune delle prove che dimostrano come il popolo non accetti il marxismo.
Nel suo libro cita esempi di cittadini fuggiti in Messico e rimandati a Cuba. Come vengono accolti i profughi cubani negli altri paesi? Quanto è difficile ottenere lo status di rifugiato politico?
In genere c’è un rifiuto generale dei profughi cubani, non solo in Messico, ma anche nelle Bahamas (con cui pure c’è qualche accordo). La maggioranza dei paesi vicini rifiuta l’emigrazione, con l’unica eccezione degli Stati Uniti. Ma, anche in questo caso, con regole molto severe: sei salvo e ottieni l’asilo politico, solo quando sei ‘all’asciutto’, quando sei riuscito a sbarcare sul suolo americano. Pochi metri di nuoto o di navigazione possono fare la differenza. Sembra un gioco sadico.
In Contro ogni speranza Lei descrive condizioni delle carceri cubane simili a un inferno dantesco. Oggi, a venticinque anni dalla sua uscita dall’isola, sono ancora così le carceri di Cuba?
La cosa più terribile è che la gente continua ad andare in prigione solo per aver espresso la propria opinione. L’ultima famosa ‘ola represiva’ del 2003, ha portato in carcere giornalisti che non facevano altro che descrivere la realtà di Cuba. Amnesty International denuncia che a Cuba non ci sono processi equi e maltrattamenti di certi prigionieri politici nelle carceri, come il medico Oscar Elia Biscet, in cella di rigore e nel più completo isolamento da quando è stato arrestato. Certo, ci si può credere o si può anche non voler credere. Ai tempi di Stalin, il ministro francese André Malraux e il vicepresidente americano Henry Wallace, si sono recati in visita in Unione Sovietica e, tornando a casa, entrambi hanno dichiarato che tutto quel che si diceva sui crimini di Stalin era solo frutto di illazioni, che Stalin era solo un vecchietto bonario che stava cercando di modernizzare il suo paese. In quegli anni, quel “vecchietto” aveva già sterminato più di 20 milioni di cittadini sovietici. Però faceva vedere agli ospiti solo quello che voleva lui, ricostruendo e riverniciando le facciate delle case nei villaggi dove passavano, creando paesaggi idilliaci ad uso e consumo degli stranieri. Oggi nessuno mette in dubbio i crimini di Stalin, ma si è dovuto attendere che fosse un altro comunista, Nikita Chrushev, a denunciarli pubblicamente. Per Cuba, io sono convinto che il mondo potrà conoscere i crimini del castrismo e indignarsi solo quando la dittatura cadrà. E in quel momento molta gente si vergognerà.
Quando pubblicò il suo libro per la prima volta, la gente le credette?
Nessuno credette a quel che avevo scritto. Mi dicevano che era solo propaganda, che era stato scritto dalla Cia per screditare Castro. Quando sono stato nominato ambasciatore per Diritti Umani all’Onu, per volontà del presidente Ronald Reagan, ho mandato sei ispettori a Cuba a investigare sulla realtà che avevo descritto. Tutto venne documentato e provato. Chiunque voglia andare a verificare se quello che dico è vero, può andare alla sede della Commissione dei Diritti Umani a Ginevra. E’ stato solo con la pubblicazione delle mie memorie che la gente ha iniziato a realizzare che a Cuba c’era repressione, che c’erano desaparecidos e torture nelle carceri, che i prigionieri politici venivano condannati senza processo.
Cosa pensa del fatto che Cuba è un membro del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu?
E’ uno scherzo. Sarebbe come affidare a Hitler la sicurezza della comunità ebraica. O affidare un asilo infantile a Erode.
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