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lunedì 27 novembre 2006

Senza Radici



Studente Nicola Santoro
SENZA RADICI
Marcello Pera e Joseph Ratzinger
Mondadori, 2004

L’Europa come l’Impero romano al tramonto: l’Impero che subisce invasioni, perde la sua identità, certamente conserva la sua cultura e i suoi principi, ma che man mano, non essendo questi alimentati di fede e di fiducia, decade. Da qui la prima ed essenziale domanda per l’Europa: «c’è davvero il rischio di subire la stessa fine dell’Impero Romano? Cioè lo svuotamento, la paralisi, la crisi circolatoria… trapianti che ne cancellano l’identità?». L’Occidente attraversa uno dei momenti più delicati della sua storia, quello di un passaggio epocale da una cultura a un’altra. La cosa non è indolore. Rimanere ancorati alla nostalgia dei bei tempi e rifiutare il nuovo non serve. Ritenere, al contrario, che quanto sta accadendo sia solo frutto del progresso e della conquista di diritti finora negati è un’illusione che non serve perseguire. Se ci sono delle sfide poste sul tappeto, allora devono essere affrontate con la coscienza di darne una risposta che abbia senso.
In questo contesto, le pagine di Senza radici sono una risposta coraggiosa e per molti versi lungimirante. Meraviglia che da due fronti così diversi, quali quelli di Joseph Ratzinger e Marcello Pera, agli stessi interrogativi possano giungere risposte similari e convergenti. Il filosofo laico-liberale, estimatore di Karl Popper, e il futuro Benedetto XVI non solo si confrontano, ma delineano spazi di azione su cui confluiscono per disegnare un cammino comune da perseguire. Un laico che la pensava come il presidente della Congregazione per la dottrina della fede. In un paese come il nostro, che ha voluto sottolineare sempre l’indipendenza del mondo «laico» da quello religioso, fino a sfiorare l’incomunicabilità tra i due, tocca al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e al presidente del Senato italiano mettersi a tavolino per abbozzare una sintesi su alcuni obiettivi da perseguire insieme. Alle due lezioni parallele, segue una lettera di Pera a Ratzinger, con risposta. Un dramma in quattro tempi. Colpisce come alla fine ci sia molta speranza.

Afferma Ratzinger: «L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria, una crisi che mette a rischio la sua vita affidandola a trapianti che ne cancellano l’identità. Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico. C’è una strana mancanza di voglia di futuro». Gli fa eco Pera: «Nell’era del relativismo trionfante e dell’apostasia silenziosa, il vero non esiste più, la missione del vero è considerata fondamentalismo e la stessa affermazione del vero fa paura e solleva timori». Si percepisce immediatamente l’obiettivo dei due: mettere a nudo, senza timore, la diagnosi sui mali del momento. La provocazione che è alla base del libro: se l’Europa vuole avere un futuro, allora è necessario che prenda un’altra piega. Qui non è più questione di cercar di eludere o di pretendere che la ragione stia sempre da una sola parte.
I problemi che di volta in volta vengono affrontati in queste pagine costituiscono una vera base di dibattito culturale che merita molto di più di poche pagine riassunte.Il lettore sarebbe ingiustificato se dovesse fermarsi alla sola analisi della guerra in Iraq e al giudizio sui movimenti pacifisti di casa nostra che fatalmente dimenticano sempre altri focolai di guerra, senza addentrarsi poi in questioni che riguardano il concetto stesso della vita umana, dal suo inizio alla sua conclusione, dei problemi di bioetica, della sperimentazione sugli embrioni, del senso della democrazia e della pretesa dei diritti soggettivi a essere riconosciuti, prescindendo da ogni rapporto con quelli fondati nella natura stessa. «Qual è la nostra cultura, che cosa ne è rimasto?». L’interrogativo, non affatto retorico, porta il cardinale Ratzinger a concludere con l’amaro in bocca che quel modello di civiltà che aveva segnato nei secoli passati il progresso di intere nazioni sembra oggi emarginato; anzi «la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, è giunto alla fine e anzi già uscito di scena; che è giunta l’ora dei sistemi di valori di altri mondi, dell’America precolombiana, dell’Islam, della mistica asiatica».
Non meno tagliente è la risposta dei presidente Pera: «Questa patologia si avverte dappertutto e io la percepisco soprattutto in quella gabbia di insincerità e ipocrisia che è il “linguaggio politicamente corretto” in cui l’Europa si è rinchiusa semplicemente per paura di dire cose che non sono affatto scorrette, ma banalmente vere e per evitare di fare fronte alle responsabilità e alle conseguenze delle cose eventualmente dette». Parole che smascherano la crisi dentro cui ci siamo impantanati.
1) Pera :L'Occidente ha una malattia. Si chiama relativismo. Inizia Pera affermando che l’occidente ha una malattia che si chiama relativismo. Significa questo: non credere si possa attingere alla verità. Non soltanto alla verità assoluta, ma a qualsiasi valore morale oggettivo. Ha scritto Friederich Nietzsche: " I fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni " . Questa è diventata la legge della cultura europea: chiunque affermi che una cosa è meglio dell'altra, con pretesa di far valere questo giudizio, è condannato in nome del politicamente corretto. Risultato? Se la ragione non può attingere nulla che sia valido in sé, a prescindere dal contesto, ecco che una civiltà vale l'altra. Questa fragilità si può notare dinanzi alla guerra dichiarataci dall'Islam fondamentalista. " Oggi l'Occidente è paralizzato due volte. Perché non ritiene ci siano buone ragioni per dire che esso è migliore dell'Islam. Ed è paralizzato perché ritiene che, se queste ragioni ci fossero, allora dovrebbe combattere l'Islam " . Non bisogna per forza dar guerra, ma riconoscere che qualcuno ce l'ha dichiarata.
E rispondere. C'è un problema ulteriore. Questo relativismo non vince soltanto tra atei e laici, ma anche nella Chiesa cattolica. Anche la Chiesa ha tradito la sua missione. In essa il dialogo non è più inteso come strumento di conversione, ma esibizione di debolezza. Anche Cristo è stato relativizzato, e proprio dai teologi: per essi non è più l'unico salvatore, ma una delle vie attraverso cui si palesa il divino. Il popolo cattolico predilige questa visione riduttiva. Infatti i fedeli, scesi in piazza vivacemente con le bandiere della pace, non hanno poi voluto manifestare perché fossero marcate nella Costituzione le radici cristiane dell'Europa. Un peccato mortale. Da quelle radici origina l'idea d'individuo. Questa nostra civiltà è unica, in fondo superiore grazie a questa eredità: sa correggersi, sa accogliere gli altri, come dice il crocefisso. Lo dico da laico. Non possiamo dimenticare chi siamo. " Dobbiamo cominciare a stropicciarci gli occhi e a svegliarci " . Altrimenti? Altrimenti è finita.
2) Ratzinger: L'Europa non è un concetto geografico, ma spirituale. E' coincisa con la cultura dell'Impero romano, espandendosi in ogni direzione, fino alla Persia. Poi, in continuità, è stata cristiana. I confini sono stati poi segnati dall'Islam che ha tagliato in due il Mediterraneo. L'Europa ha vissuto il suo momento di crisi radicale con l'Illuminismo, e la contrapposizione tra ragione e fede. Si è creata una spaccatura violenta tra laici e cristiani. La ragione però senza la fede, senza la sua base cristiana, si è sciolta nella assoluta irrazionalità. Il materialismo ateo è ultima espressione di questo processo. Con il comunismo, " il capovolgimento dei valori che avevano costruito l'Europa è completo " . Il comunismo infine è crollato: ma non soltanto per la sua debolezza economica, bensì proprio per la rinuncia " alle certezze primordiali dell'uomo su Dio, su se stessi e sull'universo " . Invece l'Europa continua su questa strada di autodistruzione. Se si rinuncia ai valori morali intangibili, della persona, della famiglia, è finita. Può risorgere soltanto se " minoranze creative " ( come prefigurò Arnold Toynbee) vivendo esperienze umane vere ne impediranno l'annichilimento.
3) Pera scrive a Ratzinger. Noi laici non possiamo più contrapporci ai cattolici, dubbio contro dogma. Abbiamo un nemico comune, il relativismo: ci disarma contro l'Islam generando un pacifismo per cui nulla è degno di essere difeso fino al sacrificio. Questa malattia è indotta e propagata da filosofi di matrice laica. " E la Chiesa e la cultura cristiana, soprattutto il clero, li seguono in questo pacifismo " . Alleiamoci. Occorre riconoscersi - laici, cattolici, protestanti - in una " religione cristiana non confessionale " . In cui, paradossalmente, credano anche i non credenti. Stato e religione devono rimanere separate, certo. Ma è necessario insieme guardare ad alcuni valori fondanti la nostra convivenza ed è bene si riflettano nella legge senza confondere beninteso fede e morale. Ad esempio a proposito di famiglia tradizionale, nella bioetica e nell'ingegneria si possono trovare punti di incontro saldo. Chiedo ai laici l'onesta ammissione che l'embrione è comunque persona, ma ribadisco: in certi casi può essere sacrificato per altre vite. Vedremo che fare. Di certo occorre si affermi in Europa una sorta di religione civile, insieme privata e pubblica. " L'impresa non è facile. Ma non è impossibile " .
4) Ratzinger scrive a Pera. Del resto l'America si regge su questa religione civile. Essa non nasce a tavolino, ma dall'incontro tra persone che tengano viva la domanda religiosa, su cui si fonda la stessa democrazia (Alexis de Tocqueville lo dice). Ribadisco però: sulla bioetica la difesa della vita, dell'embrione non è etica della fede ma della ragione. Da lì non ci spostiamo, rivendichiamo in questo il diritto a una "resistenza passiva". Confidiamo non sia necessario. Del resto solo la testimonianza data da minoranze creative cristiane alla fine impedirà la catastrofe. La speranza dell'Europa sta in questo risorgere della fede in piccoli gruppi, che contamini come lievito la pasta e sani la frattura tra laici e cattolici. Così torneranno per tutti " vincolanti i grandi principi hanno edificato l'Europa e devono e possono ricostruirla" .

Nel libro Ratzinger fa notare come il fenomeno della universalizzazione della cultura europea – che ha diffuso i suoi principi, i suoi valori, le sue istituzioni (democrazia, diritti costituzionali ecc…) in America ed ora anche in Africa e in Asia – abbia coinciso con la secolarizzazione, che ha accompagnato prevalentemente un progresso scientifico e tecnologico sempre più rapido, e poi anche con un ritiro della sfera religiosa e morale in ambiti prevalentemente soggettivi e non pubblici (ancora oggi si discute circa la presenza o meno nella sfera pubblica della religione o della morale). Ed ecco il paradosso: mentre L’Europa, e in gran parte l’Occidente, vive il periodo della sua massima espansione in termini di conquiste materiali, costituzionali, civili, politiche e sociali, al tempo stesso vive un declino di carattere culturale e spirituale. In concreto tale declino altro non è che la mancanza di fiducia in se stessa. Ciò significa che mentre l’Europa esporta i prodotti della sua civiltà (democrazia parlamentare, costituzioni, ricerca scientifica e tecnologica) comincia a credere poco nella civiltà sua medesima, nei principi che ne sono alla base. C’è una strana mancanza di voglia di futuro, e ne è un esempio il fenomeno della denatalità, come osservava Ratzinger: «i figli, che sono il futuro vengono visti come una minaccia per il presente, ci portano via qualcosa della nostra vita, non vengono sentiti come una speranza bensì come una limitazione».Pera ha proseguito: «a questo fenomeno di declino e mancanza di fiducia nell’identità europea si affianca un fenomeno di rinascita religiosa dell’Islam dovuta anche alla convinzione di grandi masse che quella religione, per loro, fornisce un’identità forte, che dunque si confronta con quella europea, sempre più affievolita». Fin qui l’analisi del Presidente del Senato prende atto di una situazione esistente. Ma le riflessioni più scomode, perché di autoanalisi, non tardano. Ad avviso di Pera, vari sono i campanelli d’allarme. «Gli occidentali non percepiscono più né il concetto di dignità dell’uomo né l’origine storica in cui tale concetto si è formato. Da dove deriva il concetto di dignità della persona? Non certamente dalla tradizione greca, non esattamente da quella romana ma indiscutibilmente dalla religione giudaica e dalla religione cristiana. Nella Genesi c’è scritto: – L’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio – Ma se l’uomo è ad immagine e somiglianza di Dio , allora l’uomo è persona, cioè l’uomo è maschera cioè nasconde con la maschera la sua vera identità,la sua vera essenza. Quindi l’uomo è soggetto di rispetto, è soggetto di dignità inviolabile».Riguardo all’attuale situazione culturale dell’Occidente Pera ha parlato di collasso circolatorio, a causa del quale gli occidentali non percepiscono più né il concetto di dignità dell’uomo né l’origine storica in cui tale concetto si è formato. Al momento di redigere una Costituzione europea che fissasse i principi comuni ci fu come è noto la difficoltà di riconoscere nel preambolo l’identità religiosa e dunque nel testo si richiamano solo generalmente e banalmente le eredità culturali, religiose ed umanistiche senza entrare nello specifico. Affermare che i principi fondamentali dell’Europa provengono dalla tradizione giudaico-cristiana non significa offendere la tradizione islamica ma semplicemente dare atto delle proprie origini. Un errore dunque non aver introdotto nel preambolo della Costituzione europea le radici cristiane in nome di una presunta nobile causa: la tolleranza. Come ricorda Benedetto XVI: «la tolleranza senza verità è ipocrisia». Qui si tratterebbe, infatti, di annichilire le nostre origini per non mancare di rispetto agli altri popoli. Singolare comportamento, ad avviso di Pera, dato che gli islamici ci accusano non tanto per la nostra religione quanto per il fatto di non aver religione… per la secolarizzazione imperante.
Senza radici è un atto d’accusa non tanto a chi ha voluto fare orecchie da mercante nell’inserire un riferimento al Cristianesimo nella nuova costituzione, ma a quanti insistono nel volerle negare come se il Cristianesimo fosse un puro fatto marginale della nostra cultura o una superstizione da cui doverci presto liberare. Ha ragione il presidente Pera nell’insinuare che la Chiesa non è estranea a questo processo perché troppo timida nella sua opera di evangelizzazione? È un interrogativo a cui anche gli uomini di Chiesa dovranno rispondere.
«C’è un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico». Sono, probabilmente, le parole più forti e drammatiche che si ritrovano all’interno di questo volume .Un sano realismo è ciò che serve a tutti per recepire il positivo di queste riflessioni e assumersi la responsabilità per come dovremmo proporre il futuro. Come prima conclusione sottolinerei il diritto di riaffermare la propria identità e le proprie radici debba essere la condizione prioritaria per poter avere un ruolo e per poter unificare l’Europa ...senza diventare dogmatici, imperialisti, arroganti, ma neanche rimanendo vittime del sistema imposto dal pensiero politicamente corretto: questo sarebbe un errore fondamentale, un ricatto. Parlare della propria identità non significa essere contro il dialogo. «No – ha affermato Pera – anzi è il contrario. Il dia-logos (che viene tra l’altro dalla tradizione di Socrate) presuppone due interlocutori di pari dignità, con pari diritti, ognuno con una propria convinzione ugualmente rispettabile. Ma oggi non è così. Nel contesto attuale la parola dialogo serve solo per mascherare una resa. Stiamo vivendo il declino intellettuale dell’Europa e lo si vede anche dal fatto che si condannano coloro che offendono le altre religioni e di fronte alla propria ci si ritira, e addirittura vengono messi da parte i propri simboli per non esporsi alle accusa di dogmatismo ecc…» «Noto un notevole senso di smarrimento, di disagio. Tanta gente ha bisogno di guide» esclama Pera. Personalmente noto anche un grande successo del Papa, soprattutto tra i giovani. Enormi sono le folle attorno a questo pontefice tedesco, timido, apparentemente freddo. Dal disagio, dallo smarrimento, talvolta dalla paura, nasce un bisogno. E la politica, la politica nobile, deve farsi interprete di questo bisogno, deve richiamare alla responsabilità. E lo devono fare con umiltà e con responsabilità, non solo i politici ma anche le università, le accademie, le parrocchie, i circoli e i salotti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

hola nazionaliberale....i tuoi post sono interessanti veramente ma siamo proprio all'antitesi!!!!
nonostante tutto apprezzo l'impegno politico e sociale...ce ne fossero di destroidi come te...
ti consiglio tecnicamente di fare dei post più brevi...
i commenti sarebbero altrettanto lunghi e impegnati soprattutto nel post sul relativismo.
un abbraccio fratè,,,daniele


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